La Città lombarda di Mario Luzi

Marco Zulberti

In Avvento Notturno1, la seconda raccolta poetica di Mario Luzi, nella sezione I fenomeni, s’incontra la poesia Città Lombarda. Composta nel 19392, da alcuni versi del sonetto,3 come il «gelido apparecchio/ delle tue mura» (vv. 3-4) e «né il tuo gelo si spezza» (v. 4), si desume che la composizione sia avvenuta nei mesi più freddi dell’inverno. In quel periodo Mario Luzi viveva a Parma, città dove era giunto nell’autunno del 1938, grazie alla nomina alla cattedra di Latino del locale Istituto Magistrale Melloni. Appena preso alloggio presso Palazzo Piccolomini, lo raggiunge Vittorio Sereni che si recava spesso a Parma per trovare Maria Luisa Bonfanti4. I due poeti, già in contatto epistolare fin dai tempi delle collaborazioni con «Letteratura» e «Frontespizio»,5 s’incontrarono per la prima volta di persona. Luzi aveva solo ventiquattro anni, ma era già considerato uno dei principali esponenti del movimento ermetico fiorentino. La sua prima raccolta La barca, pubblicata nel 1935, proprio con l’editore parmense Ugo Guanda,6 lo aveva segnalato negli ambienti letterari tra Firenze e Milano, come uno dei poeti più promettenti. Ai loro incontri rapidamente si aggiungono il poeta Attilio Bertolucci e il filosofo milanese Enzo Paci. 

Ricorda Attilio Bertolucci: «Luzi, venne a Parma, professore di prima nomina, negli anni inquieti che precedettero la prima [sic!] guerra mondiale. La nostra città era molo bella allora, così accogliente nel suo interminabile crepuscolo di “petite capitale d’autrefois” appena lambita dalla storia. Un poeta vi ci poteva salvare dal contingente guardando alle stagioni e alle loro luci diverse sull’intonaco giallino e verdino delle case, tanto lontano dal rosso affocato, se pure eternamente in via di spegnersi, dell’Emilia classica, di Bologna e Ferrara».7 L’aspetto urbanistico e architettonico, di Parma, città al confine tra Emilia e Lombardia, condiziona così il linguaggio poetico di Luzi: 

Arrivavano [le ragazze] in Via Cavour dove Mario stava seduto a una tavolinetto del Caffè Centrale a bersi un cappuccino, e si dissolvevano nell’aria fredda e azzurra, al di là dei cristalli spessi, immagini eterne di una giovinezza fragile che il poeta non poteva sentire senza una stretta al cuore. […] Ce l’ho ancora davanti agli occhi come in una quadro, un ritratto d’artista da giovane in piacevole esilio, ma pur sempre esilio. Tutta la sua poesia di quegli anni è d’esilio, e sono felice che la mia città sia stata il luogo di meditazioni che per tendere all’assoluto non affondano meno nei territori dell’esperienza quotidiana. Così è possibile scoprire nell’Avvento notturno i profili delle dorate stagioni che io negli stessi anni cercavo di fermare ora per ora con la fiducia di una fotografo ambulante.8 

I «profili delle dorate stagioni» si ritrovano anche nei versi di Luzi e Sereni, rivelando la frequentazione degli stessi luoghi e delle stesse atmosfere. Ma Luzi rimane un confinato: «Mi preservo una sorta di meraviglia di fronte alla tristezza, che è l’unica mia speranza. Finché sento che cadrò nell’assoluta inavvertenza anche nel dolore; e il bene e l’infedeltà saranno un unico spazio bianco che il tempo vorrà comunque riempire».9 Il distacco dagli “amici” fiorentini era quindi solo alleviato dagli incontri con i milanesi Sereni e Paci e i parmensi come Bertolucci, Pietro Bianchi, Aldo Borlenghi e Carlo Mattioli. Ricorda Alessandro Parronchi: «Nel periodo di tempo che va dal ’38 al ’40, in cui lui [Luzi, n.d.r.] stette a Parma a insegnare, prima che nascesse tra noi il distacco necessario all’inizio di una vera e propria corrispondenza, era più semplice prendere il treno per Parma e parlarci come fosse la sera prima. E forse per lui il tempo di Parma fu più lungo a passare che per me, che, trovandomi a Firenze, era come se l’avessi sempre vicino».10 

In questa fase nella poesia di Luzi confluisce quindi quell’insieme di prospettiva paesaggistica e melanconia, che raccolto da Parronchi, appare quasi “fotografico”, molto simile a quello confessato da Bertolucci11 nella sua poesia e manifestato da Antonia Pozzi12, collocandosi alle origini dello stile ermetico espresso poi in Avvento Notturno, di cui Città lombarda rappresenta uno dei momenti più simbolici.

Nel verso di apertura «Chiara città che affondi in uno specchio/ questo al di là dell’anima che muore» (Città lombarda, vv. 1-2), si evoca una metafora ideale che, tra effetti di chiaro scuro, si sdoppia grazie a uno “specchio”, confrontando lo sprofondarsi della città nel tramonto, con la desolazione in cui si dibatte lo stato d’animo del poeta. La misteriosa città si svela nella prospettiva delle sue mura e dei suoi canali, «in ogni gesto il gelido apparecchio/ delle tue mura accende e le tue gore» (ivi, vv. 3-4). Lo “specchio” dove la città affonda, in modo analogo al porto sepolto di Ungaretti, e all’oboe sommerso di Quasimodo, è quindi un lago, uno specchio d’acqua, l’oggetto meno oggetto, al centro di tutta la poesia lacustre della linea lombarda, come verrà teorizzata qualche anno dopo da Luciano Anceschi.13 

Una città lombarda: Mantova

Luzi, il poeta ermetico della “parola astratta”, appare così confrontarsi con l’estetica banfiana degli oggetti, e senza mai usare la parola “acqua”, la evoca costruendo l’immagine di una città che sprofonda nelle “gore”, insieme alle sue mura fortificate e ai suoi palazzi. La misteriosa città è Mantova, la città non solo dei Gonzaga, del Mantegna e dell’Alberti, ma anche di Virgilio, che nel suo Anne Lacus tante? delle Georgiche potrebbe apparire il primo di quella linea lombarda echeggiata anche dai famosi versi di Dante, «Manto fu, che cercò per terre molte/ poscia si puose là dove naqu’io» (Inf. XX, vv. 55-56). Mantova è immersa nel sublime movimento delle acque che scendono «da l’Alpe che serra Lamagna» (Inf. XX, v. 62), in cui le mura di Peschiera «bello e forte arnese» sembrano richiamate da Luzi ne «il gelido apparecchio delle tue mura» (Città lombarda, v. 3) dove i termini «arnese» e «apparecchio» indicano la funzione difensiva.

Nella seconda quartina la coscienza del poeta s’immedesima in quello sprofondarsi lasciando emergere l’idealismo platonico14 a cui s’ispirava l’ermetismo fiorentino e da cui Sereni si scoprirà invece distante: «E che altro rimane che il dolore/ non rendesse perfetto? Nel rispecchio/ degli opali pesanti indugia il vecchio / orror della mia vita, a malincuore» (Città Lombarda, vv. 5-8). Nel lento, ma inesorabile, movimento discendente, quelle mura “rispecchiano” il persistere di un sentimento di sgomento di fronte alla bellezza sublime del tramonto. Il lago in cui affonda la città, è simbolo di quel sentimento di “desolazione” lacustre lombarda, svelando uno dei topoi più tipici, e che saranno poi descritti da Anceschi. Il richiamo apre un ulteriore confronto con la poesia di Sereni, e in particolare con Canzone lombarda pubblicata proprio nel novembre del 1938 su «Corrente», a cui la Città lombarda di Luzi sembra rispondere, composta solo qualche mese dopo.

Nelle due terzine finali, emerge una sorta di auto-ritratto, presente anche nei ricordi di Bertolucci, di un giovane Luzi seduto, che guarda la “vita giovanile”, scorrere oltre le vetrate, oltre quella sorta di “siepe” trasparente che separa dalle giovani ragazze, rappresentata dal cristallo del Caffè Centrale: «Dietro eterni cristalli occhi di mica/ irraggiano una funebre interezza,/ dalle pallide arene e dall’ortica» (Città Lombarda, vv. 9-11). È un vissuto che muore, dopo un ultimo sguardo sulle «arene» della città dove cresce l’ortica, accanto ad una misteriosa figura femminile, che sembra sostituirsi a un’altra, ancor più remota, forse fiorentina. Mentre anche l’ultimo raggio di sole scompare, il poeta dichiara il proprio disinganno di fronte a un rapporto sentimentale che non si stabilisce: «la notte esulta, erosa dalla brezza/ pencolante una luna si districa/ dai vetrici, né il tuo gelo si spezza» (ivi, vv. 12-14).

Il confronto tra i soggetti evocati dalle parole “ermetiche” di Luzi e quelli “indicati”, dalle cose “oggettive”, dalle immagini “chiare” di Canzone Lombarda di Sereni. In entrambe si presentano l’inverno, il «gelido apparecchio/ delle tue mura» (Città Lombarda, vv. 3-4) e «l’inverno sta per andare di qua» (Canzone lombarda, v. 2); le piazze «dalle pallide arene» (Città lombarda, vv. 3-4) e «col verde delle piazze» (Canzone lombarda, v. 4), – e in quel «verde» di Sereni si vedono le «ortiche» (Città lombarda, v. 11) di Luzi. Per ultime le ragazze a cui si guarda posizionati da dietro la vetrina del bar come ricordava Bertolucci: «Noi dietro vetri in agguato» (Canzone lombarda, v. 6), al plurale in Sereni che «vanno ragazze in lucenti vestiti» (Ivi, v. 5) e invece presenza singola in Luzi «né il tuo gelo si spezza» immedesimando la misteriosa ragazza con la città.

L’elemento centrale è quindi l’acqua, il paesaggio lacustre lombardo; mai accennata in Luzi ma in cui affonda la città come in uno «specchio», si manifesta direttamente in quasi tutte le poesie di Sereni come «nell’ampio respiro dell’acqua» (Canzone Lombarda, v. 3). Sul tema dell’acqua, sulla sua immagine si compie un parallelo tra lo stile, non solo di Luzi e Sereni, ma delle stesse correnti fiorentina e lombarda.

L’acqua a cui si ispira Luzi non è solo quella di Mantova, ma anche quella di Milano, che Sereni aveva ricordato in Diana, poesia pubblicata nel novembre del 1938 su «Frontespizio», dove oltre alle «altane lombarde» (Diana, v. 2), le tipiche terrazze milanesi edificate sui tetti, scopriamo anche l’acqua dei navigli «Anche l’ora verrà della frescura/ col vento che si leva sulle darsene/ dei Navigli e il cielo/ che per le rive s’allontana» (ivi, vv. 6-9). Un “acqua” che Luzi conosce bene perché nell’autunno del 1926, a dodici anni, aveva vissuto a Milano presso il Collegio Benzoni, dove aveva iniziato a frequentare la terza Ginnasio al Liceo Parini: «La cosa bella che ricordo è quando provenivo da Corso Buenos Aires, attraversavo Corso Venezia, i giardini a piedi se era tempo bello, Piazza Martiri, Piazza Cavour, Via Fatebenefratelli dove c’era il mio Ginnasio: allora i navigli erano scoperti, sotto Piazza Cavour passava il naviglio dove filavano questi barconi che portavano carbone, merci grezze. Mi piaceva guardare queste chiatte buie dalle spallette tant’è che facevo tardi a scuola.»15 Si rivela quindi una giovinezza “lombarda” di Luzi, un interesse per i navigli milanesi, le loro darsene e i canali, che riemerse dieci anni dopo, durante il periodo parmense. La permanenza a Milano fu breve perché già nel febbraio del 1927 il giovane Luzi ritornò tra le pietre infuocate di Siena, dove era stato trasferito il padre Ciro. In questo contrasto paesaggistico tra le città lombarde ricche d’acqua e quelle toscane arse tra le torride pietre, giacciono quindi le differenze linguistiche tra la poesia astratta degli ermetici fiorentini e quella oggettiva, fredda, dei lacustri milanesi.

Il primo percorso poetico di Sereni s’inserisce quindi nell’ambiente paesaggistico e architettonico lombardo, che in questi elementi oggettivi, diretti, manifestava già, ma in modo inconsapevole, la sua distanza dai fiorentini: «Per me l’ermetismo ha significato questo: c’erano dei giovani più o meno miei coetanei a Firenze, che allora era, si può dire, la capitale di quella specie di Italia letteraria, semiclandestina, che era la letteratura di noi giovani, che a noi interessava in quel momento».16

Una città lombarda: Mantova

In Sereni il rapporto con l’ermetismo è quindi fatto inizialmente di attrazione ma poi anche di distinzione, formando una complessa dialettica che si coglie già nel rapporto con Salvatore Quasimodo che da una parte, nel gennaio del 1937, prima lo elogia per Compleanno, «dice che è la mia cosa migliore, può darsi; io preferisco non crederci. Il canto; e va bene»17 ma poi, in una lettera del 26 aprile 1938, viene rimproverato da Quasimodo di plagio per la presenza in Temporale a Salsomaggiore18, di termini19 utilizzati anche dal poeta siciliano.

Più articolate invece le relazioni di Sereni con i fiorentini che a partire dal novembre 1937 quando allaccia un primo contatto con Carlo Betocchi che gli dedica la recensione su «Frontespizio»20, seguita nella primavera del 1938 dalla pubblicazione su «Corrente» di cui era redattore di due articoli Su Alfonso Gatto21 e Questi ermetici22 mentre nell’autunno del 1938 si incontra per la prima volta con Mario Luzi a Parma e a dicembre pubblica su «Campo di Marte» la poesia Capo D’anno.

Il periodo più intenso fu quello tra l’agosto del 1938, quando a Firenze uscì il primo numero di «Campo di Marte», e il giugno del 1939, quando «Corrente di Vita Giovanile», diretta dal giovanissimo Ernesto Treccani, pubblicò il numero speciale Testimonianza sulla poesia, aperto dall’intervento di Banfi, dove veniva sottolineato nella poesia il ruolo centrale della vita caratterizzata dall’azione, più concreta e oggettiva.

Da quel momento Sereni si distaccò dalla redazione di «Corrente», ufficialmente perché chiamato a prestare il servizio militare nell’esercito, ma nella sostanza per alcune incomprensioni avute con Treccani sulla gestione proprio di quel numero straordinario. V’è una lettera illuminante nell’epistolario tra Sereni e Bertolucci, in cui compare anche un affettuoso saluto per Luzi e Paci, in quel periodo entrambi a Parma:

Caro Attilio, quando un numero è fresco di stampa si fa presto a dire che è bello23. E questo è un difetto tutto «milanese». Poi si legge, invece di sfogliare, e allora le cose cominciano a marciare male. Per cui – visto e considerato che il numero è stato fatto senza quasi che io ne sapessi niente e che io non l’avrei fatto addirittura o l’avrei fatto diverso – mi sono chiesto se è giusto che io continui a prendermi la responsabilità d’una cosa che non è fatta da me sia per mancanza di tempo sia per mancanza d’attitudine ad «imprese» letterarie. Così ho scritto una lettera a Treccani (un vero memoriale) manifestando la mia fermissima intenzione di non occuparmi più di Corrente se non di saltuario collaboratore. Naturalmente è successo un pandemonio e adesso si tenta di accomodare la cosa. Certo è che fra due numeri al più tardi il mio nome scomparirà dalla redazione. Ti dico questo perché tu non mi ritenga responsabile di tante cose del numero che certo non ti piaceranno, oltre all’infortunio della tua poesia. Ho - come sai – molta stima e molto affetto per te e voglio che questo sia chiaro – Ti prego di dire a Paci24, che gli scriverò una lettera prestissimo. Salutami tanto Luzi e fagli leggere, se credi questa cartolina. Ti abbraccio. Vittorio25.

La lettera rivela la formazione di una nicchia di amici parmensi quasi dissidente, rispetto al sodalizio tra milanesi e fiorentini. Sul tema Sereni tornerà velatamente anche nel 197526 quando descrisse quel numero come risultato di «una vera e propria scorreria dell’ermetismo fiorentino nel granducato lombardo27, che vide ai due capi del filo rispettivamente, Oreste Macrì28 e Giancarlo Vigorelli29».

Le discussioni di quel periodo sono rievocate anche da Francesca D’Alessandro: «Luciano Anceschi ricordava gli anni fermentati di malessere, ma anche di vitale fertilità, percorsi da turbamenti e folate minacciose, in cui Sereni condivise con i compagni di corso, nei grandi portici di Porta Romana, perduti a seguito dei bombardamenti del 1943, l’ansia del nuovo, la voracità di una ricerca capace di passare fluidamente dalla poesia alla critica letteraria, all’estetica e alla filosofia tout court».30

Negli anni successivi Sereni descrisse più volte questa differenza: «Però io ero a Milano, ero lombardo, sono lombardo, ero in una posizione diversa, guardavo probabilmente la vita con occhi diversi; in loro [nei fiorentini, n.d.r.] sentivo una specie di misticismo nei confronti del fatto poetico stesso; cosa che io invece non ho mai sentito; che, direi, proprio non mi ha mai riguardato. […] Diciamo c’era un senso forse più concreto dell’esistenza di quanto non ci fosse in loro».31 Fondamentali quindi, secondo la prospettiva della vita e dell’oggettività, erano la biografia e il collegamento al vissuto, alla vicissitudine concreta, per ogni singola opera poetica: «Per me conta […] l’esperienza individuale, conta la reattività individuale, contano le emozioni individuali, le quali danno o non danno frutto. Quello che si scrive, per me, è una trasposizione di questi dati dell’emotività, della reattività, dell’esperienza su un piano diverso rispetto a quello sul quale si sono verificati. […] In generale io vedo sempre una poesia come una dilatazione di un fatto di partenza, di un dato di partenza» dell’esperienza su un piano diverso rispetto a quello sul quale si sono verificati. […] In generale io vedo sempre una poesia come una dilatazione di un fatto di partenza, di un dato di partenza»32

La lettura di Città Lombarda di Luzi c’immerge in una tappa fondamentale di quella ricerca del “vero” che si era avviata nella poesia, nell’arte e nella filosofia, durante il primo Novecento. Nella dialettica tra Luzi e Sereni si ritrovano in questo senso sia le ragioni di “Ermetismo fiorentino” che della “Scuola di Milano”, movimenti che intendevano uscire dalla retorica annebbiante e opprimente del Ventennio, a favore di una manifestazione della verità della vita.

Scopo e fine della poesia era raggiungere una conoscenza “concreta” del mondo, libera sia dalla retorica letteraria che da quella filosofica. Risalgono a quel periodo l’ermeneutica di Gadamer e la fenomenologia di Husserl, su cui si fonda la tesi di Enzo Paci espressa nella Logica del tuono,33 quando affrontando a figura di Kierkegaard, descrisse la verità come la scintilla che scocca tra i poli logici - evocando Michealstader - della “retorica” della “parola” ermetica astratta e dall’altra della “persuasione” del nome concreto delle cose, degli “oggetti. Il “tuono”, una metafora indomabile ed effimera della vita, di cui l’arte è la traccia nel presente.

Ai fini di un approfondimento di questo fecondo rapporto intellettuale, al centro della civiltà letteraria del Novecento italiano, sarebbe augurabile il recupero del rapporto epistolare tra Luzi e Sereni, di cui rimangono tracce34 nella corrispondenza con Bertolucci35 e Parronchi36, e in alcuni saggi come Persuasiva maturità37e Di lunga familiarità38 e Informalità39 di Luzi.

 

Canzone lombarda (1938)

Vittorio Sereni

 

Sui tavoli le bevande si fanno più chiare

l’inverno sta per andare di qua

Nell’ampio respiro dell’acqua

ch’è sgorgata col verde delle piazze

vanno ragazze in lucenti vestiti.

Noi dietro vetri in agguato.

Ma quelle su uno svolto strette a sciami

un canto fanno d’angeli

e trascorrono:

- Digradante a cerchi

in libertà di prati, città,

a primavera.

E noi ci si sente lombardi

E noi si pensa

a migrazioni per campi

nell’ombra dei sottopassaggi

 

Diana (1938)

Vittorio Sereni

 

Torna il tuo cielo d’un tempo

sulle altane lombarde,

in nuvole d’afa s’addensa

e nei tuoi occhi esula ogni azzurro,

si raccoglie e riposa.

 

Anche l’ora verrà della frescura

col vento che si leva sulle darsene

dei Navigli e il cielo

che per le rive s’allontana.

 

Torni anche tu, Diana,

tra i tavoli schierati all’aperto

e la gente intenta alle bevande

sotto la luna distante?

 

Ronza un’orchestra in sordina;

all’aria che qui ne sobbalza

ravviso il tuo ondulato passare,

s’addolce nella sera il fiero nome

se qualcuno lo mormora

sulla tua traccia.

 

Presto vien giugno

e l’arido fiore del sonno

cresciuto ai più tristi sobborghi

e il canto che avevi, amica, sulla sera

torna a dolere qui dentro,

alita sulla memoria

a rimproverarti la morte.

 

Città lombarda (1939)

Mario Luzi

 

Chiara città che affondi in uno specchio,

questo al di là dell’anima che muore

in ogni gesto il gelido apparecchio

delle tue mura accende e le tue gore40.

 

E che altro rimane che il dolore

non rendesse perfetto? Nel rispecchio

degli opali pesanti indugia il vecchio

orror della mia vita, a malincuore

 

dietro eterni cristalli occhi di mica41

irraggiano una funebre interezza,

dalle pallide arene e dall’ortica

 

la notte esulta, erosa dalla brezza

pencolante42 una luna si districa

dai vetrici, né il tuo gelo si spezza.

 

Patio (1939) 

Mario Luzi

 

Forse è un ombra del cuore l’orrore che disarma

E raggela sui vetri lo stupore

Delle grida chimeriche negli atrî.

Arrossano le mele sulle fioche erbe di Parma

E il tuo sguardo in altrui sguardi succede.

Il colore dei cedri sul marmo i precede.

 

Ma il vento soffermato sulle oscure lanterne,

sul tuo viso riflesso nei miraggi

Vitrei della città dimenticate!

Si fondono irraggiate dalle bianche lucerne

Della sera le tue immagini strane

Mentre uguagli nitente le mutevoli diane.

 

Nulla più che un chiarore s’avvicina agli spalti,

alle corna spettrali dei palazzi,

il vuoto s’avvicenda nelle cave

specchiere, nella febbre viola dei basalti.

La tua forma nell’aria si ripete

Lungo un prisma ammaliato e una pallida rete. 

 

Maturità (1939) 

Mario Luzi 

 

Che fu dietro quei vetri che straziano il silenzio

E irraggiano nel vuoto lo stupore

D’un viso che non sente più il suo rosa?

Attoniti si perdono gli occhi in banchi d’azzurro

E neppure il tuo pianto si ripete.

Ondeggia il sicomoro stranamente fedele.

 

Gelo, non più che gelo le tristi epifanie

per le strade stilanti di silenzio

e d’ambra e i riverberi lontani

delle pietre tra i bianchi lampi delle fontane.

Ombra, non più che un ombra è la mia vita

Per le strade che ingombra il mio ricordo impassibile.

 

Equoree primavere di conche abbandonate

Al vento il cui riflesso è solitario

Nel fondo col tuo viso scarduffato!

Schiava ai piedi di un’ombra, ombra di un ombra

disperdi nel tremore dell’acqua il tuo sorriso.

Una tavola oscilla e un incerto paradiso.

 

Non più nostro il deserto che ci avvince e ci separa

nella bocca inarcata dall’oblio,

non più il dominio audace di pallore

delle tue braccia al vento dall’alte balaustrate.

Sguardi deserti, forme senza nome

nella notte pesante pendula sul tuo cuore.

 

Marco Zulberti (Trento 1961) si è laureato in Lettere presso l’Università Statale di Milano con una tesi dedicata all’opera saggistica di Mario Luzi. Al poeta fiorentino ha poi dedicato saggi come Un’arte umana. I saggi critici di Mario Luzi («ACME» - Milano 1996), Vita e poesia in Mario Luzi in La vita irrimediabile (Alinea - Firenze 1996) e Prima Semina (Mursia - Milano 1999). Ha pubblicato articoli di carattere letterario, storico e artistico su riviste quali “Passato Presente”, “Judicaria” e “Uomo Città e Territorio”. Autore di profili su Bertolucci, Pavese e Pasolini ha appena terminato un saggio sul sublime in Leopardi e sta lavorando ad una ricostruzione storica sull’ermetismo fiorentino. Al suo attivo anche una serie di raccolte di poesia tra cui Vivere nel buio (1992). Vive e lavora a Milano.


1 M. Luzi, Avvento Notturno, Vallecchi, Firenze 1940. La raccolta uscì nel febbraio quattro mesi prima dell’entrata in guerra dell’Italia, presagendone le atmosfere.

2 S. Verdino, Apparato Critico, in Luzi. L’opera poetica, Mondadori, Milano 1998, p. 1351.

3 «Città lombarda è per altro l’unico sonetto che si possa propriamente citare» (E. Esposito, Metrica e poesia del Novecento, Milano, Franco Angeli, 1995, p. 143).

4 Ricordi emersi nei colloqui avvenuti tra lo scrivente e Mario Luzi a Firenze il 4 febbraio 1995 durante la ricostruzione dell’opera saggistica poi confluita in M. Zulberti, Una poesia umana, «Acme», 49 (1996) e poi in M. Luzi Prima Semina, a cura di M. Zulberti, Milano, Mursia, 1999. Cfr. M. Zulberti, Vita e poesia in Mario Luzi. Tra Ermetismo Fiorentino e Scuola di Milano, in La vita irrimediabile. Un itinerario tra esteticità, vita e arte, a cura di G. Scaramuzza, Firenze, Alinea, 1997, pp. 287-289.

5 La ricostruzione cronologica delle poesie pubblicate da Sereni in rivista allo stato attuale delle ricerche inizia con Terre Rosse, «Meridiano», Roma, dicembre 1936 seguita da Corrispondenze, «Letteratura», Firenze, gennaio 1937 e da Lo scriba, «Meridiano», Roma, febbraio 1937, Compleanno, «Foglio e Moschetto», Roma, giugno 1937, Inverno a Luino e Concerto in Giardino, «Frontespizio», Firenze, novembre 1937, (dove è presente la prima recensione dedicata a Sereni a cura di Betocchi), Nebbia, «Meridiano», Roma, dicembre 1937, Temporale a Salsomaggiore, «Corrente», Milano, aprile 1938, Canzone Lombarda, «Corrente», Milano, novembre 1938, Diana, «Frontespizio», Milano novembre 1938, Capo d’anno sia in «Corrente», Milano, dicembre 1938 che in «Campo di Marte», Firenze, gennaio 1939.

6 Cfr. S. Verdino, Cronologia, in Mario Luzi. L’opera poetica, a cura di S. Verdino, Milano, Mondadori, 1998, p. LXX.

7 A. Bertolucci, Mario a Parma, «La Fiera Letteraria», 14 agosto 1955, p. 5.

8 Ibidem.

9 S. Verdino, Cronologia, in Mario Luzi. L’opera poetica cit., p. LXXVI.

10 A. Parronchi, Compagni fiorentini, «La Fiera Letteraria», X, 14 agosto 1955, p. 5.

11 A. Bertolucci, Mario a Parma, idem. Cfr. T. Lisa, Le poetiche dell’oggetto da Luciano Anceschi ai novissimi. Linee evolutive nella poesia del Novecento, University Press, Firenze 2007.

12 L. Pelagatta, “Amor fati”. Poesia e fotografia di Antonia Pozzi, in «Materiali di Estetica», n. 6, Milano 2002, pp. 231-237. Vedi anche i saggi D. Formaggio, Una vita più che vita in Antonia Pozzi, in AA.VV, La vita irrimediabile, a cura di G. Scaramuzza, Alinea Firenze, pp. 141-158, A. Pozzi, Due Lettere, in La vita irrimediabile, op. cit., 159-168 e G. Scaramuzza, Antonia Pozzi tra gli allievi di Banfi, in AA.VV, …e di cantare non può più finire…Antonia Pozzi (1912-1938), Atti del convegno. Milano, 24-26 novembre 2008, pp. 29-50.

13 Cfr. L. Anceschi, Linea lombarda, Varese, Magenta, 1952.

14 Cfr. M. Luzi, Un Illusione platonica e altri saggi, Firenze, Edizioni di Rivoluzione, 1941.

15 M. Luzi, Cantami qualcosa pari alla vita, Forlì, Nuova Editrice Forlì, 1996, p. 12.

16 A. Fo, Una intervista a Vittorio Sereni, in Studi per Riccardo Ribuoli, a cura di F. Piperno, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 1986, pp. 64-65. Si veda anche F. D’Alessandro, L’opera poetica di Vittorio Sereni, Milano, Vita e pensiero, 2001, p. 173, M. Borio, Vittorio Sereni: gli strumenti umani. Percezione e poesia degli oggetti, «Atelier», 54 (2009), p. 42, e per il periodo storico S. Raimondi, La frontiera di Vittorio Sereni. Una vicenda poetica (1935-1941), Milano, Unicopli, 2000.

17 D. Isella, Giornale di Frontiera, p. 31.

18 F. D’Alessandro, L’opera poetica di Vittorio Sereni, Vita e Pensiero, Milano, pp.32-33. Vedi anche F. D’Alessandro, Vittorio Sereni e i poeti della «Linea Lombarda», in AA.VV, Il canto strozzato, Milano 1995.

19 P. Baroni, Vittorio Sereni e Salvatore Quasimodo. Innesti e divaricazioni (lettere 1936-1940) in AA.VV. La poesia di Vittorio Sereni. (se ne scrivono ancora…), a cura di A. Luzi, Stamperia dell’Arancio, Ascoli Piceno 1997, pp.79-88; P.V. Mengaldo, Il linguaggio della poesia ermetica in La tradizione del Novecento, Terza serie; Torino, Einaudi, 1991, op. cit., p.144 e D. Isella, La lingua poetica di Sereni, in La tradizione del Novecento, op. cit., p.26. Sull’argomento vedi anche F. D’Alessandro, L’opera poetica di Vittorio Sereni, op.cit. p. 32

20 Inverno a Luino e Concerto in Giardino, «Frontespizio», Firenze, novembre 1937, (dove è presente la prima recensione dedicata a Sereni a cura di Betocchi).

21 V. Sereni, Su Alfonso Gatto, “Corrente di Vita Giovanile”, Anno I, n. 6, 15 aprile 1938, p.3.

22 V. Sereni, Questi ermetici, “Corrente di Vita Giovanile”, Anno I, n. 7, 30 aprile 1938, p.3. Articolo non firmato pubblicata nella pagina curata da Vittorio Sereni.

23 Si tratta del numero di «Corrente» (11,15 giugno 1939-XVII) in cui era apparsa Parma. Ma il dissenso era di natura più vasta, etico-politica. Egli inoltre appare ancora dispiaciuto per la poca cura prestata alla poesia dall’amico.

24 Anche Enzo Paci risiede a Parma, e questo saluto rivela l’esistenza di quel piccolo gruppo di amici, punto di contatto tra l’ambiente milanese e quello fiorentino.

25 A.Bertolucci – V. Sereni, Una lunga amicizia. Lettere 1938-1982, Garzanti, Milano 1994, p. 29.

26 V. Sereni, Senso di un’esperienza, in Corrente di Vita giovanile (1938-1940), a cura di A. Luzi, Edizioni dell’Ateneo, 1975, pp. 13- 14

27 V. Sereni, Senso di un’esperienza, in Corrente di Vita giovanile (1938-1940), a cura di A. Luzi,

28 O. Macrì (1913-1998). Laureato in Filosofia all’Università di Firenze nel 1934 diventa una delle voci critiche più rappresentative dell'ermetismo insieme a Carlo Bo. Innumerevoli furono i suoi interventi sulle riviste fiorentine degli anni Trenta. Sui saggi sono Esemplari del sentimento poetico contemporaneo (1941) e Caratteri e figure della poesia italiana contemporanea (1956) e L'enigma della poesia di Piero Bigongiari (1988).

29 G. Vigorelli (1913-2005), milanese collabora prima con le riviste fiorentine dove su «Il Frontespizio» compaiono Su Federigo Tozzi, nel febbraio 1936, una recensione al Rivieré di Carlo Bo nell'aprile 1936. Suoi interventi comparvero anche su «Il Bargello» e su «Corrente di Vita giovanile» nel 1939.

30 F. D’Alessandro, La poetica di Sereni, op. cit, pp. 14-19

31 A. Fo, Una intervista a Vittorio Sereni, in Studi per Riccardo Ribuoli, op. cit. pp. 64-65

32 ivi, pp. 67-68.

33 Cfr. E. Paci, La logica del tuono, «Corrente», 1 (1938), p. 2.

34 Sereni cita ripetutamente il nome di Luzi comprese le lettere.

35 Cfr. A. Bertolucci, Una lunga amicizia. Lettere (1938-1982) a cura di G. Palli Baroni, Milano, Garzanti, 1994. Questo è l’epistolario Sereni-Bertolucci.

36 Cfr. V. Sereni, Un tacito mistero: il carteggio Vittorio Sereni-Alessandro Parronchi, 1941-1982 a cura di B. Colli e G. Raboni, Milano, Feltrinelli, 2004.

37 Cfr. V. Sereni, Persuasiva maturità, «La Fiera Letteraria», 14 agosto 1955, p. 3.

38 Cfr. M. Luzi, Di lunga familiarità (su Vittorio Sereni), «Rinascita», 25 febbraio 1983, p. 32.

39 Cfr. Id., Informalità, in AA.VV, Per Vittorio Sereni, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1992.

40 Canale.

41 Briciola di pane.

42 Oscillante.