Zakhor-Ricorda. Alle scaturigini della scrittura (poetica)

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Clemente Condello

y podrás conocerte recordando
del pasado soñar los turbios lienzos
Antonio Machado

Zakhor-Ricorda. Alle scaturigini della scrittura (poetica)

La parola ebraica “zakhor”, ricorda, radice zkr, è traboccata fuori dall'ambito religioso e rabbinico in seguito a eventi tragici come la Shoà e l'obbligo di non dimenticarla o, in altro senso, in seguito a proposte di tipo accademico, come quella contenuta nel libretto di Yoseph Hayim Yerushalmi dal titolo: Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica (1). A traboccamento avvenuto, è lecito riprendere la parola in questione e, applicarla come ipotesi di lavoro a talune suggestioni. Non ho intenzione qui di trattare della Shoà o del testo di Yerushalmi, ma di riflettere su “zakhor” pensando alla scrittura (poetica).

L'idea mi è venuta generalizzandone una di Yerushalmi: molti uomini di oggi (Yerushalmi scrive: «molti ebrei di oggi»): «sono in cerca di passato, ma non del passato che può offrire loro lo storico» (cit., p.108). Nel contesto di crisi identitaria attuale, la mia generalizzazione potrebbe applicarsi non indebitamente a tutti coloro che, in un modo o nell'altro, ricercano la propria identità. Lo sguardo della memoria sul passato (liberamente interpretato, metafisicizzato, onirico o mitico o mitologico o mitizzato ecc.) risulta talmente compensatorio a volte, da costituirsi pragmaticamente in una sorta di fiction creativa (certamente non facile e neppure data una volta per tutte), nella quale i soggetti possono comunque ritrovare le vestigia di una quiete del corpo o dell'anima. Per il singolo individuo e contro il logorio della vita moderna, tale fiction e le vestigia di quiete da essa risultanti possono costituire una piazzaforte puramente interiore nella quale potrebbe esplicarsi, per esempio, l'ispirazione poetica o letteraria in genere, come l'esprime il Poeta: «interminati/ spazi di là da quella, e sovrumani/silenzi, e profondissima quïete/io nel pensier mi fingo».

Identità: ricordo dinamico e fiction

Vorrei cercare, dapprima, di spiegare l'idea di fiction favorevole all'ispirazione letteraria ed emersa dalla memoria del passato, tramite un'analogia con la cacciata degli ebrei dalla Spagna nel 1492 e, in particolare, con l'impatto che quella cacciata ha ancora oggi sui loro discendenti sefarditi. Jonathan Schorch (2) analizza i lavori autobiografici di un certo numero di sefarditi contemporanei, pubblicati tutti verso il 1992, in concomitanza con il cinquecentesimo anniversario della cacciata. Dice Schorch: «Il lavoro di memoria degli ebrei (sefarditi) è al centro del proscenio nella psiche collettiva ebraica (o almeno di quella prodotta in serie) e getta nuova luce sullo sforzo personale necessario a mettere insieme il proprio io, a (re)inventare il proprio passato e trovare il proprio posto». Nei lavori autobiografici in questione, Schorsch percepisce tutto il gioco della memoria (individuale) che serve ai singoli autobiografi sefarditi per ritrovare o ricreare le (proprie) origini cinquecento anni dopo la cacciata dalla Spagna. Le origini (vere o affabulate) affascinano, assumono un carattere di feticcio, vengono perse e ritrovate, evitate, tradite, viste sotto un velo romantico, dice Schorsch, ma esse sono sempre presenti e, come in un gps, servono agli autobiografi per non perdersi nella giungla della vita: è in questo senso di gps sopra un terreno sconosciuto che, a mio avviso, la memoria originaria si estrinseca in una fiction favorevole all'ispirazione letteraria.

“Zakhor” tra liturgia, qabbalah ed estasi

La memoria intesa come reminiscenza di qualcosa (storicamente) perduto ma simbolicamente ancora attivo implica l'identità e l'appartenenza a un conglomerato umano particolare, cioé assume una connotazione sociale. “Zakhor” rivela qui la sua appartenenza liturgica, nella quale il sentimento della memoria resta vivo (3) grazie alla sinagoga e alla preghiera. “Zakhor” infatti è anche il titolo del brano addizionale che viene letto il giorno di Shabbat Zakhor, cioé il sabato precedente la festa di Purim. Prima della grande festa, la lettura del brano “Zakhor” riporta alla memoria dei presenti la guerra che Amalek scatenò contro gli ebrei appena liberati dalla schiavitù in Egitto: «Zakhor et asher asah lekha amalek (ricordati di cio' che ti fece Amalek)». (4)

Oltre a possedere radici liturgiche, “zakhor” si presenta come il termine di una dialettica continua con l'altra parola “shamor”, custodisci. La dialettica tra “shamor” e “zakhor” è intimamente legata al corpo e alla relazione del corpo col mondo umano e con quello divino. Il libro di Alexandre Safran sull'esoterismo ebraico (5), contiene un riferimento a interpretazioni di Genesi 2, 15, tratte dallo Zohar e dal Sefer ha-Bahir, che collegano direttamente i precetti ebraici (mitzvot) con gli organi del corpo e con “zakhor” e “shamor”: «Gli organi superiori (corrispondenti ai precetti attivi) si collegano a Zakhor (principio maschile, che evoca Dio in quanto Dio trascendente); gli organi inferiori - ossia le trecentosessantacinque vene del corpo - corrispondenti ai precetti negativi) si collegano a Shamor (principio femminile che evoca Dio in quanto Dio immanente nel nostro mondo, in cui'egli ama stabilire la sua dimora', la Sua Malchut, la Sua 'Regalità'. Ma in definitiva tutto è Uno (tutto costituisce una sola, medesima Unità»(Safran, cit, p. 26-27).

L'aspetto cabbalistico di “zakhor” si estende alla qabbalah estatica. In quest'ultima, “zakhor” può ricollegarsi alla "hitbodedut", isolamento, che risale a Mosè quando si isolò (hitboded) nel deserto «e il Signore del Tutto gli si rivelò nel roveto». (6) Nella qabbalah estatica, oltre alla "hitbodedut", anche la musica e le sostanze aromatiche assumono un ruolo importante e ciò è particolarmente caro ai seguaci di Abulafia, visto che gli aromi uniscono l'anima vegetativa a quella animale e i suoni l'anima animale a quella razionale, al fine di preparare l'esperienza mistica. Nello Shaare Zedek (Porte della Giustizia), Rabbi Natan, considerato come il più importante discepolo di Abulafia, scrive: «Ecco perché è necessario l'isolamento (hitbodedut) in una casa speciale; e sarà ancora meglio se in quella casa non si possa udire alcuna voce. All'inizio, inoltre, occorrerà ornare la casa con erbe fresche al fine di allietare l'anima vegetativa che è unita a quella animale. Poi si passerà al canto soave e a strumenti melodici (...) al fine di allietare l'anima animale che è unita a quella razionale». (7)

Musica, odori, sentimenti e ricordi: dialettica “zakhor” - “shamor”

La dialettica tra “zakhor” e “shamor”, che si riallaccia alla "hitbodedut" e al ruolo delle sostanze aromatiche, viene illustrata in un articolo di Marc-Alain Ouaknin. Quest'ultimo collega “zakhor” e la sua radice zkr a un'esperienza sinagogale più generale. Ouaknin segnala che la radice zkr si ritrova nelle preghiere sui sacrifici nel tempio e riguarda nello stesso tempo sia gli incensi che i pani: l'odore (azkarata) dei primi farà ricordare (lèazkara) al Signore il patto col popolo. (8) La memoria che nasce dai sensi, a sua volta, rimanda alla dialettica tra “zakhor” e “shamor”, custodisci, radice shmr, che rappresenta il ricordare intimo e custodito nel cuore. Per Ouaknin, “shamor” e “zakhor” sono complementari nel senso che “shamor” si riferisce a un lavorio intimo e silenzioso, mentre “zakhor” è il ricordo che passa dalla bocca, cioè dalla parola. Il detto è “zekhira”, radice zkr, cioé l'espressione esterna del lavorio interno rappresentato dalla “shemirà” radice shmr. A sua volta, la radice zkr, che si articola tra odori e ricordo, rimanda al «dialogo con la memoria involontaria, che Proust ha meravigliosamente descritto e incoraggiato», dice Ouaknin citando Proust: «la parte migliore della nostra memoria si situa al di fuori di noi, nell'umidità piovosa, nell'odore di chiuso di una stanza … dove di noi stessi ritroviamo ciò che l'intelligenza aveva sdegnato … l'ultima e migliore riserva del (nostro) passato» (9). Il senso di “zakhor”, conclude Ouaknin, si ritrova nella “zekhira” e nella radice zkr, cioé nel fatto di menzionare e dire l'indicibile, tutto quello che non si può o non è facile esprimere a parole e che era rimasto finora custodito nel cuore.

Poeti: esploratori privilegiati

In sintesi conclusiva, la dialettica vista sopra trala memoria indicibile (radice shmr) e la memoria che si esprime con la parola (radice zkr) gioca fortemente nella poesia e soprattutto nel poeta, inteso come esploratore privilegiato dell'enorme (propria) regione di confine tra “shmr” e “zkr”, alla quale il poeta è, evidentemente, il solo a potere accedere nel corso della sua pratica (poetica) vissuta nell'isolamento ("hitbodedut"). Esempio dell'individuale esplorazione poetica in quelle terre di confine è il profetismo dantesco, ripreso e tematizzato in maniera interessantissima da Sandra Debenedetti Stow, la quale ritrova somiglianze tra processo di allegoresi biblica dantesco ed ebraico e utilizza la chiave della mistica ebraica per comprendere la dinamica che, in Dante, riunisce la volontà individuale e la grazia divina. (10) Analogamente, Giacomo Leopardi dà libero corso alla voce profetica quando si riallaccia a memorie antichissime e contempla la natura fino a perdersi in essa: «… tra questa/immensità s'annega il pensier mio:/e il naufragar m'è dolce in questo mare». Egli ricompone in questo modo la cesura che lega l'uomo al mondo. Perché l'infinito di Leopardi si ricollega all'antico Apeiron, che si identifica col «semitico 'apar (polvere, terra), accadico eperu, biblico 'afar» (11) e che, insieme all'acqua originaria, rappresenta la sostanza materiale costitutiva dell'universo, dalla quale nascono e alla quale ritornano gli esseri.

Note

1 Yosef Hayim Yerushalmi: Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica, Pratiche Editrice, Parma 1983, traduzione italiana di Daniela Fink (ed. orig. University of Washington Press, Seattle, London, 1982).

2 Jonathan Schorsch: Disappearing origins: Sephardic autobiography today.(Report), in Prooftexts: A Journal of Jewish Literary History, January 01, 2007.Traduzione mia.

3 La capacità di memoria potrebbe spiegare, per Yerushalmi, la sopravvivenza di un popolo disperso (cit, p.17).

4 Deuteronomio 25,17-19

5 Alexandre Safran, Tradizione esoterica ebraica. Testi scelti, Giuntina, Firenze 1999, trad. italiana di V. Lucattini Vogelman. Ringrazio Sandra Debenedetti Stow per la segnalazione.

6 Moshe Idel, "Le porte della giustizia" e la qabbalah estatica in italia, saggio introduttivo a Natan ben Sa'adya Har'ar Le porte della giustizia. Shaare Zedek, a cura di Moshe Idel, Adelphi 2001, trad. it. di Maurizio Mottolese, p.73.

7 Natan ben Sa'adya Har'ar Le porte della giustizia. Shaare Zedek, cit. p.423.

8 Marc-Alain Ouaknin: À la racine du mot Zakhor, articolo on line in: www.mjlf.org. Traduzione mia dei testi che cito. En passant, Yerushalmi, nel libro citato (p. 17 e p. 117), annota che l'obbligo di memoria incombe sia agli uomini che al Signore, visto che il patto riguarda gli uni e l'Altro, e aggiunge che l'imperativo «Zakhor» appare 169 volte nel Pentateuco.

9 Marcel Proust: À l'ombre des jeunes filles en fleurs, (seconda parte), GF-Flammarion, 1987, p. 8 (citato da Ouaknin) (traduzione mia).

10 Sandra Debenedetti Stow: Dante e la mistica ebraica, Giuntina, Firenze 2004, pp.129-130.

11 Giovanni Semerano: L'infinito: un equivoco millenario. Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco. Bruno Mondadori Editore, Milano 2001, p. 32.

(Postille ad "Ante Rem")