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Dalla III Biennale Anterem, interventi teorici e creativi di Giorgio Bonacini, Flavio Ermini, Carlo Penati

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Dalle giornate della III Biennale Anterem di poesia, filosofia e musica, riportiamo i contributi teorici di Giorgio Bonacini (Oscurità 1) e Flavio Ermini (su “Viaggio attraverso la gioventù” di Lorenzo Montano), seguiti dalla cronaca in versi dell’ultimo evento (“Controcanto di giornata”) composta da Carlo Penati.

Carlo Penati, Controcanto di giornata

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“Controcanto di giornata”
Cronaca in versi del settimo appuntamento della Biennale Anterem di poesia
Sabato 5 dicembre 2009
di Carlo Penati



la parola abbonda

abbandonata nell’aria


Stefano Baratta, La parola nella psicoanalisi

i nomi di Jung ho chiamato a raccolta

conclamanti forme dell’anima

per pronunciare la parola indicibile

che la psiche crea a ricrea

adattando e riorganizzando il mondo

anima-madre eccede,

soffocanti abbracci

invadono il conscio

anima-donna rivela il simbolo

e nell’archetipo profondo

traccia impronte che svelano

il sentiero dell’ombra

dove le parole affiorano

gravide di ogni senso cercato


Trio musicale: Stefano Baratta, Stefano Benini, Andrea Tarozzi

scivolano suoni a risvegliare

gli animali quieti dell’anima

turgidi risvolti dei ritmi spezzati

nel jazz regolatore d’influssi

l’emozione ondeggia negli specchi

dei flauti che tessono e ritessono

sul moto estenuante del piano

lasciami scendere senza freni:

l’arrivo è solo un abbraccio

e riparte il cuore palpitante

dal silenzio

che cosa sale dal fondo dell’anima?

o il suono confonde i piani

e non mi avvedo di quanto scende

palpitando nell’inconscio?

scende e sale in appassionata danza

gioioso battere di tasti in sequenza

che parlano voci lontane

evocando dai fiati risposte di memoria

ingenui scambi di ruolo

all’apice il rigo s’arrotonda

e solleva e risolleva la passione

insisti sulle corde già tese,

continua il sentiero dell’accordo

scomposto e ricomposto ad libitum

come accarezza il flauto la soglia

di stanze profumate ed assenti


Rosa Pierno e la poesia di Rinaldo Caddeo

l’ombra avvolge a poco a poco

che strano gioco il suo impalpabile movimento!

più mi ricopre e più nasce conoscenza

più è oscuro il giorno

e più la parte chiara di me affiora

stende una patina di luce

proiezione di leggera sostanza


Rinaldo Caddeo

sostanza oscura è l’ombra

sorella muta che accompagna

nella sua pretesa insistente

ogni passaggio di vita

un corpo che non proietta ombra

è la figura nitida del passato glorioso

laddove implode ogni conclusione

e l’epilogo consegna

mani piedi e sangue

all’alfabeto della nostra vocazione


Rosa Pierno e la poesia di Mauro Germani

superstiti parole s’affrettano

nelle strade e negli odori

tra ricordi e sogno

dove morti e vivi si susseguono

nel prendere e strapparsi la parola

solo negli altri mi ritrovo


Mauro Germani, Livorno

Livorno èl’altra

quella che non appare

e invoca il mare e la sua terra

che s’immerge in un cielo scoperto

domande in bilico all’altare

di divinità prive d’ascendenza

lì la voce brucia ferita dagli anni

e si perde in un vento straniero


Francesco Bellomi al pianoforte uno

John Cage Dream 1948

sogni sonori le note di Stravinskij

FA-RE-FA-RE lattiginose, testicolari

nel cerchio dei suoni prescelti

che escludono per sempre i diversi

attorno a sette note sogna John

e solo a quelle assegna un compito impossibile:

colmare d’immagini la sera

che avvolge Verona e i suoi poeti

nel rito dei segreti ormai svelati


Flavio Ermini introduce Franco Rella

Hölderlin sull’esergo dice la vita:

solo genera parola

chi interroga il proprio cuore

e sprofonda lo sguardo

nell’anima del vasto mondo

le strade in cui ci avventuriamo

nell’abbandono di ogni apatia del pensiero


Franco Rella, La parola postuma

fuori dalla città i poeti,

menzogneri che traviano dal vero!

l’essenza delle forme persa

nella paralisi dell’anima

ecco la ragione s’impone

sull’antico dissidio tra poesia e filosofia

la poesia irresponsabile della verità

inganno di versi affascinanti

distoglie la mente dall’oggetto

diaforà di strade antagoniste

innamorato che si stacca

nel sacrificio della poesia bruciata

dalla tragedia dell’amore

vinto l’agone col Simposio

ma resta il vuoto della rappresentazione

che Benjamin richiama con Cartesio

nel gioco del rimando

tra ciò che vedo e la sua specie

m’inoltrerò con coraggio nella culla delle parole

a catturare lo stupore del sogno

e immergerlo nel logico rigore

dell’ermeneutica più pura

custode dell’inesprimibile

attizzi il fuoco degli spiriti

che frantuma nell’orrore ogni forma

prima che la parola sapiente ricomponga

nell’unità di senso

l’incomposto sgranarsi di sostanza

nell’onirico volgere dell’estasi

la singolaritàconfina ai margini della città

ma la tragedia accomuna

chi pensa e chi poeta

in un identico coro della vita

il poeta è vincolato all’ombra

nel gorgo di bene-male indistinti

nell’indecisione che gli spetta

è la metafisica il campo dell’incontro?

la contraddizione sfuma nella coesistenza del diverso?

l’apparenza è il volto noto dell’ombra

dove l’indicibile alligna

e viene a volte in superficie

nella stentata trama dei ritmi di parole

attrito surreale del senso sulla carne

della realtà sullo spazio estetico

pensiero-sentimento

la polis riaccolga con gioia

chiunque ci doni conoscenza


Francesco Bellomi al pianoforte due

composizione su cinque tasti scelti a caso usando il timbro-ritmo e non la melodia

insiste il tasto in un ritmo d’industria

ma il timbro della natura riaffiora

nello strappo di un FA alto

che acutamente rimanda

al volgere del sogno


Rosa Pierno e la poesia di Giuliano Rinaldini

uno sguardo che non vede

pone la memoria sugli oggetti

che il tempo rende ossario

e la natura sviscera l’immondo

dell’artefatto di ogni morale


Giuliano Rinaldini, Sequenza del fico

sussulto nei rovesci della terra

allo sguardo che animali di pianura

disegnano nella messe di campi sfioriti

e il coro dei canneti scompone

il rettifilo senza spessore della strada


Rosa Pierno e la poesia di Giovanni Turra Zan

gli insetti della convivenza

nell’acido sussulto di versi civili

intrusi aggettivi dirompono

dall’accogliente placidità del giorno


Giovanni Turra Zan

distoglie da ogni oggetto

il rimando a sensi altri

di parole composte in segni alterni

che culminano in immagini

risolte dall’incavo di un prisma


Filippo Ravizza, Il turista

senza scampo m’affaccio

sul cerchio dell’essere/nulla

e mi sdraio al sole dei ricordi

nei luoghi che ri-conosco miei

il vero destino è un muro bianco

e oltre andare è il verso


Alberto Mori, Fashion

la vita viene detta dalla moda

strascicata la parola f-a-s-h-i-o-n

è suono di cromi di tessuto

che vestono il futuro

l’olfatto trattiene il rigonfio dei corpi

in abissi lastricati di lustrini


Francesco Bellomi al pianoforte tre

Tasti scelti dal pianista ed altri scelti a caso

ascolta l’anima e il conto del tempo

nel riverbero di note

che l’abitano ab origine

il cerchio ostinato del ritorno

come un temporale in fuga

rilascia lente gocce

di luce compulsiva


Flavio Ermini presenta Silvia Ferrari

piacere nell’ascolto di parole

che danno consistenza all’inconcluso

con l’aggiunta di un provvido segno


Silvia Ferrari, La parola nell’arte

la parola erompe nell’arte

decostruendo il campo dello sguardo

fino al contratto spasmo degli esse-emme-esse

ogni espressione ha senso

se solo rimanda ad altro

così l’elettronica diventa gregoriano

e la sinestesia racconta il nuovo incontro

dei linguaggi controversi


Francesco Bellomi al pianoforte quattro

basso ostinato accende ricami

di foglia, alloro, rincorse

velluti e tragici ossimori


Emanuele Modigliani

la prosa distende il racconto

in periodi di tempo e di senso

nel breve identico corso

di scene stirate sui muri


Carlo Penati, Vorrei imprimere un vuoto nell’aria

l’aereo s’innalza pesante

gravido delle spoglie di vite

sempre in agonia

nel duro lavoro del senso quotidiano

alla ricerca, ahimè, dell’infinito


Francesco Bellomi al pianoforte cinque

giro di do nascosto

maschera, confondi la ragione

di un cerchio ripetuto di note

se trovi la cifra che apre

verità di musica interna

contorno di rassegna

gran finale



Carlo Penati (Legnano 1954) è stato redattore del periodico di ricerche e analisi linguistiche "Pianura". Nel giugno 2008 ha vinto il 29° premio letterario "Città di Moncalieri". Sempre nel 2008 ha pubblicato Vorrei imprimere un vuoto nell'aria, Fara Editore, prefazione di Luigi Metropoli, segnalato al XXIII "Montano".

Giorgio Bonacini, Oscurità 1

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Le parole, quando pensano il vero, si muovono all’interno di un sistema che ha a che fare, in qualche modo, con una zona franca della materia in cui ogni trasformazione sembra, se non attuabile, possibile.

Tutto è, concettualmente, materia; e ogni contrapposizione genericamente intesa sotto dualismi del tipo palpabile/impalpabile, sensibile/insensibile, visibile/invisibile, ecc., è priva di senso in termini concreti.

La poesia non ha preferenze operative: èessa stessa a determinare una selezione, svolta in astratto, per una considerazione fisica che permette di scrivere e di misurare la significatività dei propri testi.

Se guardo il mio linguaggio (che è anche una riflessione implicita sull’an- damento e sulla forma del vivere) penso al modo in cui i suoi tratti “irridici- bili” implodono all’interno della sua stessa assenza di potere.

Credo che ciòpossa rientrare in un’idea patafisica; una sorta di felicità mentale in cui però, alla scienza delle soluzioni immaginarie, devo aggiun- gere una metodologia dell’indecisione materiale.

Cosìil procedimento slitta su zone deformate, in modo tale che l’unica contrapposizione valida è forse quella fra realtà e reale, dove la poesia non si occupa, né potrebbe in alcun modo farlo, della realtà.

Si preoccupa invece della sua insistenza, della sua presenza che deborda in luoghi e tempi non giustificati dalla fatica o dallo sforzo di un io che non è mai, per fortuna, né curativo né rispondente a sé.

Bisogna allora organizzare un nucleo di tensioni che siano, nello stesso tempo, impermeabili e traspiranti, per far sìche la scrittura fuoriesca e di- venga un’indicazione esatta di ciò che chiamiamo reale.

E ciòche èreale èl’incarnato di una parola, la sudorazione fonica, l’esilio indefinito dell’esperienza individuale, inconciliabile anche con il carattere volontaristico di questa dichiarazione di poetica.

Sono cosciente che tutto ciòpotrebbe fallire, ma se ciò che creo è davvero reale allora posso far leva sui dintorni di una felicità quasi sofferta, parziale, pacata e senza tregua ma attentissima e precisa.

Perciòqualcuno ha scritto che “gli oggetti hanno evidenza nel vivente, tra le cose”; e in poesia queste resuscitano e si distinguono con una tale ric- chezza di particolarità che ancora mi stupisce.


Reale: la parola unisce in sé tutte le manifestazioni dell’immaginario, le intermediazioni naturali, i ritmi logici, le condensazioni, gli addensamenti e i pregi di una disquisizione imperfetta.

E’ lo sgretolarsi di un pensiero languido e scaltro, l’incedere elusivo attra- verso cui ci si ricorda che alle volte anche gli amori più invidiati (o più atmo- sferici) confondono gli oggetti con le cose.

Le cose del pensiero e gli oggetti della mente non sono intercambiabili: sembrano fondersi apparentemente nell’assolutezza del cuore, ma il loro di- stacco, ciò che li rende dissimili, è sempre visibile.

Ma è questa la condizione mitica in cui riconoscersi: “un’addolorante fini- mondo di euforia”, una contraddizione esorbitante a cui si crede ingenua- mente, e da cui si è certi di poter sempre sfuggire.

L’ultima possibilità è dunque borbottare; inventarsi un linguaggio ventri- loquo che finga d’essere falso e rovesci la lingua nelle meraviglie di un pos- sibile giardino interminabile: qualcuno dovrà pur farci caso.



Giorgio Bonacini è redattore di "Anterem". Per la sua biobibliografia vedi "Chi siamo" nel sito.

Flavio Ermini, Viaggio attraverso la gioventù di Lorenzo Montano

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Trascrizione dell'intervento di Flavio Ermini per il Convegno su Lorenzo Montano e il Novecento europeo (6 dicembre 2008) nell'ambito della terza Biennale Anterem di Poesia.



Parliamo di Viaggio attraverso la gioventù di Lorenzo Montano. 

Questo libro è stato edito per la prima volta da Mondadori nel 1923.

Successivamente (nel 1959) l'opera sarà pubblicata da Rizzoli nella collezione B.U.R., con un saggio di Aldo Camerino. Tale saggio viene riproposto ora in occasione della terza edizione, che si presenta arricchita da una biografia e una bibliografia aggiornate, a cura di Claudio Gallo, oltre che da una mia riflessione interpretativa.

L'edizione, a cura di Moretti&Vitali, è resa possibile dal sostegno della Biblioteca Civica di Verona. 

Seguirò in questo mio intervento un itinerario, una sorta di "viaggio", tra le parola-chiave che caratterizzano l'opera. 

La prima parola che propongo è: "desiderio". 

Cominciamo con una citazione.

Ascoltate come il protagonista di questo grande romanzo definisce l'adolescenza: un «breve tumulto d'ombre cose passioni, incoerenti», fatte di «notti laboriose, alcune pazze, l'uno e l'altro compagno, qualche viso e corpo di donna, qualche paese scorso di sghembo, e quell'attesa, quell'impazienza incessanti …».  

L'eroe montaniano si avventura sull'itinerario della gioventù senza calcolo; senza padronanza. Ma con la consapevolezza di un vivere che può aprire le porte all'immaginario, al desiderio. 

E proprio a proposito di questo "vivere" Aldo Camerino nella presentazione scrive: «Il romanzo montaniano è il ritratto di un vivere straordinariamente distratto e pieno di voglie».

In questo inoltrarsi nella vita - un inoltrarsi «distratto e pieno di voglie» - tenebra e aurora stanno l'una davanti all'altra, e ognuna ripone nell'altra sempre nuove aspettative.  

La gioventù. Sarà lo stesso eroe montaniano a sancire l'impossibilità di coglierla pienamente - e lo farà con una bellissima definizione: «Esita a lasciarci, s'indugia a lungo con noi, infine si stacca a tradimento».  

Lorenzo Montano ci fa entrare in una vicenda che nasce come speranza e gioia per incupirsi nella perdita e nella pena, fino a chiudersi con l'ingresso nell'età adulta. 

Qui ogni sorriso non potrà che mutarsi in malinconia.

E non può essere che così - se è vera quella definizione di "gioventù" che prima citavo:

«Esita a lasciarci, s'indugia a lungo con noi, infine si stacca a tradimento».  

E "gioventù" è proprio la seconda parola-chiave che   voglio segnalare alla vostra attenzione. 

Il romanzo di Lorenzo Montano è un'opera che fa parte di un preciso genere letterario: il "romanzo di formazione"; un genere letterario che ha le sue radici nel Wilhelm Meister di Goethe (1796).

Ma appartiene a questo genere in modo del tutto particolare. Vediamone il perché. 

Nell'Ottocento, intorno al romanzo di formazione si raccoglie una piccola moltitudine di giovani che incarna, con evidente foga, la smania di desiderare. E il desiderio è quello di entrare a far parte - in un modo o nell'altro -  del mondo degli adulti. 

Questo genere conoscerà poi i suoi ultimi capolavori - che ne decreteranno in pari tempo il culmine e il tramonto - con gli inizi del secolo scorso.

Alcuni di questi capolavori sono: i Turbamenti del giovane Törless di Musil (1906), i Quaderni di Malte Laurids Brigge di Rilke (1910), America di Kafka (1915), Dedalus di Joyce (1916).  

In queste opere - anticipate da Gioventù di Conrad (1898) e da Tonio Kröger di Thomas Mann (1903) - c'è un dato comune evidente: la saggezza degli adulti non è più un contrappunto costante alle avventure dall'eroe. 

Da qui in poi, pare che gli adulti non abbiano più nulla da insegnare.

Da qui in poi la gioventù comincia - se non a disprezzare la maturità - quanto meno ad autodefinirsi in opposizione a essa. 

La separatezza rispetto all'età adulta diventa la vera compagna di viaggio di questi eroi. 

A differenza di quanto accadeva nel romanzo di formazione dell'Ottocento, questo vivere gravita sempre più lontano dagli adulti e dalla loro società.

Quel disprezzo, quella separatezza emergono da un'osservazione dell'eroe montaniano, quando, seduto a un caffè, osserva i passanti e annota: «le loro facce così sicure di dissimulare la bestia interna, la quale a loro insaputa fa capolino da tutta la fisionomia». 

Insomma, il mondo degli adulti non si configura più come una dimora ospitale.

E dunque il rifiuto di entrare con decisione nell'età adulta sancirà il fallimento, l'impossibilità della "formazione".  

Arriviamo allora alla terza parola-chiave: "smarrimento".

Abbiamo visto che Montano, così come Musil, Kafka, Rilke, Joyce, ereditano la convenzione ottocentesca del romanzo di formazione ma vi apportano significativi cambiamenti.

Non è più la crescita a dare corpo all'inoltramento nella gioventù, prima, e nell'età adulta, poi.

Al contrario: è la ribellione, più o meno esibita. 

Che l'adolescenza stia diventando sempre più narcisistica e regressiva ce lo dirà in modo più radicale nel 1923 (lo stesso anno del Viaggio montaniano) un altro "tardo" romanzo di formazione: Il diavolo in corpo di Radiguet.  

Emerge l'"altro lato" della coscienza adolescenziale: quello "smarrito", e invade le nostre abitudini mentali; rende visibile la precarietà delle nostre regole, la sconnessione del mondo.  

Sulla soglia dell'età adulta, lì dove le cose fluttuano e si mescolano, l'eroe montaniano, indugia, così come iniziano a fare tutti suoi compagni dal Novecento in poi, fino ai nostri giorni.

E si trattiene tra le sicure parentesi della giovinezza. 

In questo romanzo ci troviamo di fronte a due precipizi che delimitano l'inizio e la fine dell'adolescenza. I due quaderni li rappresentano.

In questo senso è estremamente importante il corollario formato da "Introduzione" e "Aggiunta". Questo corollario ha il compito di farci gettare almeno uno sguardo in quella discesa nel Maelstrom che è l'età adulta…  

Da quel gorgo, in una delle sue ultime poesie - poco prima di morire - Montano scriverà: «Adesso invece assidera il mio tocco / la vita, sotto alla mia mano il fiore / di gioventù impietrisce, e si trasmuta / il più dolce dei seni in duro sasso» (1956). 

Quel gorgo racconta la notte, ovvero ciò che rappresenta il mondo adulto per gli esseri umani. 

Davanti a quel gorgo, nella penultima pagina di Dedalus, Stephen insorgerà con una dichiarazione di guerra quasi programmatica contro l'età adulta e la sua febbre possessiva: « … cercherò di esprimermi attraverso qualche maniera di vivere o di fare dell'arte il più liberamente e integralmente possibile, difendendomi con le sole armi cui consento a me stesso di ricorrere: il silenzio, l'esilio, l'astuzia … Benvenuta, oh vita». 

Come non rilevare un parallelismo con l'eroe di Montano? Il quale scrive: «Tutt'a un tratto conobbi che la mia giovinezza era finita … Rimasi attonito allora, ricordo, di trovarmi privato così di colpo di tutta un'età della vita … Mi fermai in una piazza, non sapendo che fare di me … M'era rimasto soltanto un grande smarrimento …» 

Un'altra parola chiave per intendere il romanzo è "l'amore".

L'amore è rappresentato nel romanzo da due figure di donna: Biancanera e Delfina.

La loro presenza consente di leggere l'opera anche come una sorta di educazione sentimentale. 

Si sa: chi si muove nel giardino di Eros è sempre in bilico tra l'indigenza della mancanza e la ricchezza dell'acquisizione. Ce lo ha detto Platone: penuria e risorsa accompagnano costantemente ogni gesto dell'innamorato.  

Questo dipende ovviamente dal fatto che ogni passione amorosa si colloca in uno stato d'insicurezza. Ma Montano ne fa un riflesso dell'adolescenza, dove urge a ogni passo il richiamo alla brevità del tempo di cui possiamo disporre. 

A tale proposito, a me pare addirittura didascalico il Viaggio attraverso la gioventù.

Questo romanzo infatti ci segnala che c'è un grande lavoro da fare nell'educazione all'amore, un sentimento che può dare senso e forma al nostro esserci:

--- contro il troppo caos dell'adolescenza,

--- o il troppo ordine dell'età adulta,

--- o semplicemente contro le tante illusioni che ci accompagnano per tutta la vita.  

Il viaggio attraverso la gioventù nasce per ricordarci la polvere dell'effimero.

Parla a quella parte di noi che cede alla seduzione - una seduzione rappresentata nel romanzo montaniano da «un braccio nudo ... il pallore abbagliante del viso, la bocca pura, le grandi iridi cangianti».  

A questo proposito, l'eroe montaniano davanti a tanta meraviglia, davanti a tanto amore, annota: «... mi pareva di stare affacciato sopra un paese favoloso e strano». 

L'Io è un'altra parola-chiave per intendere il "Viaggio" .

Diciamolo con chiarezza: la "formazione" è destinata a fare i conti, all'inizio del Novecento, con la disgregazione dell'individuo come soggetto e con una nuova, incandescente realtà: l'inconscio. 

Questa chiamata verso l'Io frantumato - e di conseguenza verso l'introspezione e l'autoanalisi - è imperiosa in tutto il tardo romanzo di formazione.

E risulta così evidente nel Viaggio attraverso la gioventù che può indurre ad accostare questa opera a un altro grande romanzo del 1923: Coscienza di Zeno di Italo Svevo. 

Ne abbiamo dimostrazione soprattutto nel primo quaderno, per la forma frammentaria che lo caratterizza, tra schegge di personaggi, atomi di scene, briciole di realtà. "Frammenti" che sono specchio di un continuo soliloquio interiore e di un vibrante processo d'interrogazione. Schegge che provengono direttamente da quel baratro oscuro che il vivere "autorizzato", il vivere adulto, malamente cela.  

Sarà proprio l'avventurarsi del protagonista nelle profondità interiori che renderà evidente la definitiva lacerazione tra l'Io e il mondo.

Cosa che porterà Montano alla decisiva scelta di non dare all'eroe un nome e nemmeno «figura».

A tale proposito nelle ultime righe del romanzo leggeremo: «Questo personaggio ha tralasciato nel suo scritto qualunque indicazione che giovi a dare un'idea del come egli apparisse agli altri …». 

Lo sguardo e l'ignoto: le ultime due parole-chiave.

Come per il Malte di Rilke anche per l'eroe montaniano è necessario «imparare a vedere».

«Imparare a vedere.»

Vi è un modo di configurare il reale che non si appaga dell'intuizione, ma che preferisce porla tra l'emozione e la riflessione.

La sintesi che ne scaturisce è carica di una sua specifica mobilità. 

Viaggio attraverso la gioventù è il romanzo di un saggista. E lo si avverte per come ogni sensazione viene con minuziosità indagata e faticosamente sottratta alle zone interiori, notoriamente poco decifrabili, ma sempre autorevoli.

Accostarsi a queste zone misteriose comporta un movimento che è propriamente il gesto del venire per la seconda volta alla vita. Un gesto che ogni volta mette a soqquadro il mondo. 

Ed ecco allora uno dei grandi risultati di questo romanzo: consentire al nostro sguardo di accedere attraverso più prospettive a questi paesaggi dell'anima e di prendere con essi confidenza.

Dopo aver letto Viaggio attraverso la gioventù, sappiamo che proprio per questo motivo va custodita la memoria delle terre incognite dalle quali si parte, delle terre della gioventù:

--- siano esse caratterizzate dalla "formazione" (come accade nell'Ottocento);

--- o dall'"obiezione" (come si rileva dal Novecento in poi);

--- o siano esse un fenomeno della realtà o dell'illusione...  

Ci si inoltra in queste terre - nelle terre della gioventù, ci dice Lorenzo Montano - per tornare a smarrirsi nell'ignoto.  



Flavio Ermini è direttore di "Anterem". Per la sua biobibliografia vedi "Chi siamo" nel sito.

  • Ranieri Teti
  • Gennaio 2010, anno VII, numero 11

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