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Allì Caracciolo

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Allì Caracciolo, poeta e regista, è docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo presso l'Università di Macerata. Sue opere, edite e inedite, sono risultate finaliste ai più importanti premi di poesia. Dirige un Teatro di Ricerca a livello professionale. Tra i suoi libri di poesia figurano: Malincòre (una fonologia del vuoto), Amadeus 1996; English cemetery, Edizioni del Leone 2000; La insomiglianza (quattro poemetti), Ripostes 2007.

Allì Caracciolo: Le ragioni del silenzio. Il testo poetico

Versione stampabilePDF version0. DEDICA IN FORMA DI ESERGO
“Quando tutto è stato detto, resta da dire il disastro” 

1. QUASI UNA PÁRODOS
Esprimere una riflessione sull’atto poetico, o della scrittura, è formalizzare un assillo nell’interrogare la Poesia non solo sulle ragioni della sua sopravvivenza nella contemporaneità e sul suo darsi/negarsi, ma in particolare, sul complesso percorso della Parola, sulla sua coincidenza con l’Essere. Interrogarla istituisce una Poetica.
(“Sotto lo sfondo così cupo dell’attuale civiltà del benessere anche le arti tendono a confondersi, a smarrire la loro identità. Le comunicazioni di massa, la radio e soprattutto la televisione, hanno tentato non senza successo di annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione […]. In tale paesaggio di esibizionismo isterico, quale può essere più il posto della più discreta delle arti, la poesia?”. Così Montale già nel lontano 1975).

2. DIDASKALIKÓN 

Troppo spesso non si sa che cosa è Poesia; piuttosto: ‘si sa’. In maniera assertiva ed esaustiva.
Accade che molti sanno che cosa è la poesia: è soddisfazione, tormento, approdo, privilegio, conforto disperante, vanto maledizione esclusione esclusività, appagamento compiacimento realizzazione di sé, suggestione e distinzione, un porto sicuro, una tormentante piacevolezza, una lusinghiera attitudine. E poi è bellezza. Bellezza e bello così come giungono dalle icone sclerotizzate e inamovibili.
Della poesia si può dire con certezza ciò che non è.
Non è un fatto privato. Non uno spazio riservato, lottizzabile mercificabile, non è merce né mercificazione, non è garanzia non è prestigio. Non è consolatorio compenso, evasione dalla cruda realtà, esaltante trasfigurazione delle miserie, produzione di sogni, la casa dei buoni sentimenti.
Conformemente il poeta non è il portatore della verità, l’eletto, il detentore dei segreti, il depositario del verbo.
“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato // […] non domandarci la formula che mondi possa aprirti”. Montale avvisava. Non solo demolendo i perniciosi miti della parola-pantocrator, “sì qualche storta sillaba e secca”, ma evidenziando la forza fatica del negativo: “codesto solo oggi possiamo dirti // ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”

3. TEMA
Occorre muovere dalla identità negante per ricavare la positività e la conoscenza di un grado della qualità poetica. Non nella capacità definitoria, ma in tale facoltà di esistere in negativo, di creare in absentia, risiedono la natura intrinseca dell’atto poetico e il suo fondamento etico.

Se poesia è canto (e canto è urlo nel doppio di sé), lo è nella misura in cui ne scrive Maurice Blanchot: “solo col canto Orfeo ha potere su Euridice, ma anche nel canto Euridice è già perduta e Orfeo stesso è l’Orfeo disperso, l’«infinitamente morto», reso tale fin d’ora dalla forza del canto” .
L’infinitamente morto è accesso alla infinitezza, la costituzione in infinito che la forza del canto determina. Canto che non rende immortale Orfeo: non nel senso della tradizione del canto al tempo umano e alla storia, ma in quello più arduo del negato riscatto dall’esistere. È l’essere infinitamente morto di Orfeo/del poeta, che consente al canto l’identità con l’esistenza. E la sua immortalità.
Scriveva Gadamer che “il canto poetico è l’esser-ci” . Poesia “si dà nel concepire e per un concepire” . Essa è la testimonianza dell’esser-ci, in quanto “attesta la nostra esistenza, essendo esistenza essa stessa” .
Esistenza che in sé è coincidenza di deessere, infinita simultanea destituzione  dall’esistere.
Parallelamente, una poesia che infinitamente si destituisce da se stessa. In ciò consiste la sua cifra, l’essere esistenza. In quanto coincidenza di deessere e costituzione di sé.
“Se tale destituzione trova fondamento nella tesa coscienza esistenziale, o nella demistificazione di ogni accreditato sapere e gratificante certezza, compresa quella del bello, o nella aspra cognizione della violenza umana e storica, tuttavia, proprio dall’atto stesso, precario ed infinito del destituirsi, la poesia deriva la propria necessità e l’unica possibile funzione”  :
( passo da un testo che postula l’idea di poesia come fonologia del vuoto, che cioè trae il suo fondamento dall’atto percettivo di frammenti di suoni che muovono nel vuoto  –attestati di energie in un continuum che è condizione del loro muovere e combinarsi–  e dal loro costituirsi in parola poetica.
In tale prospettiva, poeta è vehiculum, un condotto in cui le energie si incontrano e conflagrano generando vita della parola.
E non tanto, nella direzione di poesia come atto autogenerantesi, di cui il poeta si fa scriba, ma in una dimensione assimilabile a quella che Foucault indica per la follia: che è “senza soggetto parlante”  ).
È il senso di quell’essere infinitamente morto, la sua cifra fonetica.

Si può sostenere, traslato da altro contesto , che Poesia è un linguaggio che torna su se stesso, che ricomincia “senza fine l’atto della propria distruzione” .
Ciò ne qualifica lo statuto ontologico: il silenzio. Che non comporta il paradosso della pagina bianca e simili. Silenzio è la proprietà significante e la qualità della comunicazione della Poesia. La quale non si esprime attraverso il silenzio: si dà quale silenzio. Forse anche nel senso gadameriano di “scrittura che precede il linguaggio […] in modo irraggiungibile” . Ma certo, anche, silenzio in senso cosmico, fratturale, dove si rintraccia l’indifferenziata consistenza dell’esistere nella spaccatura originaria, nel baratro, nella crepa primigenia, nell’evento catastrofico e smisurato della distruzione generante.
L’unico silenzio che non può appartenere alla poesia è quello di ignorare barbarie ferocia le stragi. Tacere davanti ad esse. Omettere di ricordare.
( Poesia è il luogo nel quale non si danno frontiere, il luogo per eccellenza della alterità, ed anche quando i più inviolabili diritti umani, quali il diritto a dignità libertà vita, non costituiscano argomento espresso di essa, in essa sussistono quale sua implicita sostanza e fondante ragione di essere nella storia e nelle civiltà.
Se non è in questi dunque che va ricercato lo statuto ontologico della poesia, certo in essi risiedono la sua dimensione storica e la presenza alla storia, che è legittimazione della scrittura a fronte del prevalere di violenza e misfatto, del suo persistere mentre si consumano crimini contro l’umanità ).
Ne segue il Silenzio come costituzione etica, da cui non può derivare la dispersione della Parola poetica, la sua omologazione, la svendita. La Parola della Poesia è inalienabile.
 “Ciò che si scrive risuoni nel silenzio, facendolo risuonare a lungo, prima di ritornare alla pace immobile dove veglia ancora l’enigma” . Così Blanchot, che ne La scrittura del disastro, annota: “Scrivere non solo per distruggere, non solo per conservare, per non trasmettere, scrivere nel fascino dell’impossibile reale, questo lato del disastro in cui sprofonda, salva e intatta, ogni realtà” . Forza cognitiva nella sorta di ossimoro: sprofondare nel disastro salva e intatta.
È in questa identità, che non è semplice compresenza, che si realizza l’essere della Poesia.

4. QUASI UN EPILOGO
Non si dà atto poetico senza la consapevolezza apocalittica della catastrofe, della destituzione da sé di quell’atto. In questo, l’identità di silenzio e scrittura. Ancora Blanchot: “Mantenere il silenzio, ecco ciò che a nostra insaputa tutti noi vogliamo, scrivendo” .

NOTA O IPERBOLE
La creazione poetica spesso la si sente denominare ‘il parto’, anche dagli stessi autori: ‘È avvenuto il parto’, espressione metaforica per dire ‘Ho terminato l’opera’.
Tralasciando la perplessità per l’immagine troppo viscerale, il cui sangue è mestruo e non ferita palpitante (“il discorso poetico prende avvio da una ferita” ), e la nascita meraviglia usata, l’espressione appare impropria, in quanto rovescia la costituzione profonda dell’atto poetico, il quale non consiste nel parto, o venuta alla luce, di un essere generato attraverso due elementi di segno contrario che si uniscono insieme.
Poesia nasce dall’uno che si separa in due contrari, dei quali uno nell’essere negazione dell’altro lo fa essere, e da tale compresenza/opposizione, negazione che afferma, si genera l’atto poetico.
In tale scissione da sé in doppio di sé, nel prodursi nella propria negazione, nel frantumarsi nell’altro, consiste il fondamento da cui prende avvio un significato di distruzione, catastrofe, alterità. Morte che instaura la parola.
Per questo la poesia può essere individuata come il luogo dove l’uno dalla propria frammentazione genera i contrari, ma dove i contrari tendono infinitamente a l’unificante conoscenza, a la indeterminata somiglianza.
Dove altresì conflagrano, generando vita.
Il luogo del vuoto. O dell’assenza.




[1] Maurice Blanchot, La scrittura del disastro, Milano, SE, 1990, p. 47.
[2] Dichiarazione di Montale all’Accademia di Svezia in occasione del Premio Nobel.
[3] Eugenio Montale, Ossi di seppia, Milano, Mondadori, 196713.
[4] Maurice Blanchot, Lo spazio letterario, Torino, Einaudi, 1975, p. 148.
[5] Hans Georg Gadamer, L’attualità del bello. Studi di estetica ermeneutica, a cura di R. Dottori, Genova, Marietti, 1986, pp. 83-84.
[6] Ivi, p. 200.
[7] Ivi, p. 169.
[8] Allì Caracciolo, Malincóre (una fonologia del vuoto), Cittadella (PD), Amadeus, 1996.
[9] Cfr. per il contesto e significato di tale concezione, Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, Milano, BUR, 19887.
[10] Vedi l’indagine condotta da Derrida sul pensiero di Foucault in Jacques Derrida, La scrittura e la differenza, Torino, Einaudi, 1971, specificamente Cogito e storia della follia, pp. 39-79.
[11] Ivi, p. 46.
[12] Hans Georg Gadamer, Persuasività della letteratura, Ancona-Bologna, Transeuropa, 1988, p. 60.

Poesie edite e inedite

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Da: Allì Caracciolo, Monologhi ripetitivi con la Poesia (pubblicazione in corso). 

[1]

Il luogo

Mentre discende come fosse l’ultima

s’aggetta la sera in plumbee nubi

squarciate ove riflette un peltro lucido

lì

si specchiano le cose una nell’altra

alla ricerca della somiglianza 
 

[2]

L’anima canta stanca

mentre tu taci ricordando il canto 


e il ricordo è miseria  nella pallida sera

ove talora s’accasciano uccelli a riposare 


Se soltanto tornare

la tua voce potesse a le occasioni

le perdute ginestre

le feroci pulsioni, riconoscere in esse

la lenta melodia del sangue che in te scorre 


anima mia, dir loro, anzi che questo sguardo

di mancate agnizioni

l’aggirarsi casuale dove il vuoto risuona

il tuo passo d’automa trasognato e disforme 


il filo delle labbra una catena  che apri chiudi apri senza suono 


Forse un segnale,

ripeti versi tra le foglie 
 

[3]

Mentre pentita al bordo del villaggio

attacchi il piede indietro a quello avanti

la linea inseguendo o disegnando

che isola il villaggio dallo spazio

ti vidi batterti il petto anche le spalle

-per lo stolto tuo peccato di essere- 


-e per esso-

saltellare festante attorno attorno

ridda invasata sulla linea a calce

che in cerchio isola il villaggio 
 

[4]

Forse la sera, quando le cose vanno al loro posto

per convenzione (non ontologicamente, s’intende)

forse la sera per convenzione (per un sentire indotto, cioè, ma motivato)

la sera forse

le parole che si sono scritte (e nel giorno movevano i pensieri)

le parole sono figure che attraversano la sera 
 

[5]

Franz Liszt

«Non chiedermi quello che io stesso ignoro. Il mistero che vuoi penetrare non mi è stato rivelato. Io vengo da un paese lontano, di cui non mi rimane alcun ricordo». 

I movimento

Scrivevi che nulla rimane, nella torpida visione. Come un eunuco, come un fanciullo, il misterioso viandante -un ermafrodito o l’Ermes?- rivela la mancata rivelazione.

C’è un sapere nell’assenza.

Era questo il segreto: che nell’ignoranza, nella scienza dell’ignorare, si cela un’antica sapienza, il segreto, quasi, del cosmo.

«La forza che mi spinge è muta e non m’indica la strada» ti dissuade l’enigma che insegui, l’uomo dalle spalle di tempesta, non seguirmi, inutile speranza.

Era muta, diceva e ti descrisse le meraviglie del sogno, l’incomprensibile colore della sera, l’armonia segreta dei venti, la musica la musica 

II movimento

Terra lasciata alle spalle estesa nell’animo in lande traversate dal solenne ricordo di un fiume

tutto tutto attende alla musica nella caverna stanca del viaggio

Volgere alla propria terra le spalle per ritornarvi

il cammino segnato dal filo liso della nostalgia

Visitare città con la metafora della provenienza scandita in note battiti difformi

il suono del suo nome amplificato dalla cassa armonica del desiderio

il pellegrinaggio un ritorno reiterante 

III movimento

Se quella forza è nemica, perché questi sogni divini?

ti chiedeva il viandante chiedendo a se stesso, Se benevola perché questa pena che mai trova requie?

«Addio» disse e s’allontanava facendoti riaffiorare in te stesso

come il silenzio, inespressivo, come lo sguardo, vuoto, come la pallida fronte della miseria o della conoscenza, la languente armonia l’ineffabile arte 

[Vedi la Lettera di F. Liszt al Signor Lambert Massart, Gazette musicale, 2 settembre 1838] 
 

[6]

vicino allo smalto scrostato  del bacile ad un coccio spezzato nomepoesia ti taccio le crepe ai muri i pezzi di calcina il letto stridulo ti taccio un rubinetto perde a ritmo l’attimo d’acqua il tuo nome mi spacca vorrei annientare il tempo che ti ha dato  crearti quando voglio come la goccia un attimo disperderti spezzare lo stampo in gesso rubare  la voce con cui dici io  averti infilata in questa crepa come un filo di paglia fra le labbra una cosa qualunque che per anni è lì poi un giorno uno viene getta via nomepoesia e nessuno s’accorge

così di te vorrei 
 

[7]

Lana di ferro il tuo corpetto

all’abbracciarti urti sul petto  l’irriti

e il tuo, trafitto, si imprime di incisioni,

piccola asceta da insensato medioevo

che i fianchi ti cinge scandisce le tue ore scava i cibi

mentre affebbrata ogni sonno ignori

gli occhi perenni dalle fosse muovi  tuttintorno

e in avanti  forando anche la notte con lo sguardo

o con il mite orrore  della tua lunga cerca a piedinudi 


A volte la poesia è più grassa, la invitano a cena anche i poeti, gli amanti, cultori, ricchi, gli annoiati, chi se ne intende, i fautori, poi gironzola i bar siede ai caffè, sa stare al mondo al mondo accetta, e nutre il bello 

Ma tu, pure se taci sei fastidio, lo sguardo smarrito, riempito da guance cave il silenzio,   come su schermo di cinema ti scorre addosso la teoria affollata delle facce che in questo istante muore per fame silenzio lo stupro irrisione, sgozza il cannone o che altro, cadi tra gli astanti come la mosca nello champagne, c’è da gettare via tutto quando arrivi

anche le cose

deliziose 
 

Da: Allì Caracciolo, Malincóre (una fonologia del vuoto), Cittadella (PD), Amadeus, 1996. 

[8]

tras-figurazioni sublimi per leggere la vita | divinità del dolore-uomo |

plasticità del vizio | amore perduta nobiltà feroce |

tale

vorrei di te – poesia –     ( come a promessa ) e renderti divina      ma vieni da

( vivi in ) una mí

seria nuda

e ti stendi sul greto stancamente a vendere quel po’ di amore che ti ricava dalle tue cóscescárne

un piatto di minestra 
 

[9]

l’impercettibile vuoto

dove tutte avvenivano

tutte si perdono

le mutazioni 
 

[10]

Prolusione affidata all’oralità 


Non parlerò della mia attività di poeta

per coerenza con una biografia intellettuale scandita dal silenzio: quello

imposto /dalla poesia

        \da me

e quello imposto da altri

con la differenza sostanziale della violenza

(l’esortazione cioè quotidiana a vivere senza annunciare la qualità definitoria della parola simultaneamente alla sua precarietà

l’imposizione di un cursus in cui essa –la parola- sancisce qualificando gli adepti escludendo gli esclusi)

La sua irrinunciabile diversità –della parola- è il memento del poeta: la parola come il tempo rovina via, precaria ed irripetibile è teatro che vanisce

Non potrà la poesia mai acquisire la sostanza dell’auctoritas poiché questa istituisce il déjà-dit

L’inespresso, tuttavia, non può sostituire/costituire poesia.

L’unico silenzio è una poesia che si destituisce da se stessa.

Cogliere questo istante è il mio (vocazione imperativo identità) mestiere. 
 

Dal Poemetto Abbozzo per Campana. La Insomiglianza, in La Insomiglianza quattro poemetti, Salerno, Ripostes, 2007. [Finale della II parte, III parte] 

[11]

II

     […]

     stabilire metafore

            tutte

            ogni possibile metafora

per rintracciarne una sola

essa

quella che ti fa vivere

oppure si cela nella identità di somiglianze

lontane fino allo sradicamento totale

alla inversa sostanza

alla

ínsomiglianza 


scrivevi versi sulle foglie 


Sibilla stanca

talora attenui il tuo corso

il gemito dell’antro tutto risonante

tempesta di vento o di sospiri

l’urlo

trascina le foglie non la musa assopita

            – sognava danze

            o

         altro –

l’urlo che imbianca le colline

col rovescio argentato delle foglie

sonagli

le serra

la libertà un filo spinato da scavalcare

le distende argentine

garrule sulla cresta dell’onda

la libertà una ruggine

sonagli

le serra risonanti come la catena

le serra il catenaccio

la libertà

una setticemia dell’anima 
 

III

poesia

evanescenza che non torna

Andare andare

e poi

la muta orgia sbranamento furioso

Venga la morte pallida e mi dica

verrà

l’oscura baccante a divorare 


l’ingordigia e il silenzio

tutto

fu taciuto

Andare andare

e tu bagliore

Nel dolor d’infinite morti amare

vanenteuridice ferma all’attimo

in cui tendi le braccia ti dilegui

tu

poesia

……… 
 


Da Allì Caracciolo, Stampe da manoscritti apocrifi (pubblicazione in corso).

[12]

Teoria del romanzo o altro 

. Il rapporto tra i personaggi. la loro qualità : assenti indecifrabili. definiti una sola volta da un segnale di frase.poi perduti per sempre

                   ↓ 

che non mira a definire alcun personaggio alcuna qualità.solo a sottintendere una parziale memoria·una presunta allucinazione da cui

     il senso -l’unico : parziale·presunto-

     dell’esistenza. 


. L’assenza di pagine : poiché il numero  -o il Numero-  c’è  -quando c’è- 

ma è altro. tuttavia

     ↓ 

una numerazione scandita attraverso parole che percepiscono il fieri momentaneo è attestata -talvolta- nella precaria situazione di un capolettera o di un precipizio sulle/delle parole:

      piuttosto sulla assenza. 


. La capacità  -qualcosa di occulto-  di contenere uomini animali cose si sottrae : l’atto unico consentito al movimento dal quale dipende tutta la successione-simultanea dell’essere nelle sue metamorfosi. la scansione____una lunga linea interminata stabilita dalla necessità di ricondurre la parola ad una qualche permeabilità con lo spazio

poi:

la condizione asituazionale   -schermo·paradosso della asensorietà delle cose. della improbabilità del reale- 


. Il tempo____una assunzione del predicato necessitato a coniugare se stesso nei framm enti dello specchio : illusorio passato·frammento·falsofuturo____negazione-riproduzione

una negazione riprodotta ad infinitum nel nulla·assenza e -pure-

riflessione-rifrazione di un oggetto inidentificabile nello spazio che lo produce come necessità ultima della propria credibilità (metafora : bubbone stanco sostituitosi alla materia) tuttavia:

(gli squarci della lirica ne individuano  -a tratti-  i bordi frastagliati l’umore di ferita l’abisso senza fondo della sua profondità cancrena). 


. La sapienza  -la ignara sostituta della conoscenza-  frantumata nelle piccole pieghe di un particolare ostinato a non trasmettersi e a qualificare il reale : o non piuttosto l’esistenza? 


. La legittimità -infine. requisito assente dell’origine : la sua assenza

delegittima l’esistenza. o non piuttosto l’essere?

                  ↓

la autodefinizione attraverso la parola

o attraverso

il silenzio

      anche il silenzio  -invalso idolo- 

      un esposto sulle scale del tempio.

  • Ranieri Teti
  • Marzo 2008, anno V, numero 9

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