Editoriali 1995-2019

n. 98, Perché la poesia?

 

J’arrive où je suis étranger.
Aragon

n. 97, Per oscuri sentieri

No, la parola d’ordine per gente come noi è:

avanti verso la tua essenza!

Trakl

Gli esseri umani si sono smarriti perché si sono abbandonati alle apparenze, consentendo così al molteplice d’imporsi come una vera e propria potenza nell’attribuzione dei nomi. In tal modo, il linguaggio ha iniziato a dire «è» riferendosi alla molteplicità, quando invece avrebbe dovuto assegnare l’essere esclusivamente all’Uno originario.

n. 96, Oltre le apparenze

Straniera giunse a noi la parola
che forma i mortali.
Hölderlin

La poesia viene dalle profondità misteriose del mondo e del tempo, portando con sé alla luce quanto laggiù è sospeso e indefinito. E lo fa negandosi a una modernità che tutto dissimula. Ecco perché quando nella scrittura non persiste – come fondamento – il moto originario del pensiero, scompare dalle parole l’essenziale.

n. 95, L'altrove poetico

Fiorire e inaridire sono a noi ugualmente noti.
Rilke

n. 76, Dire la vita

... l'incessante apertura dell'apparire ...
Gabellone


Nella poesia interminabilmente viene alla vista il non-veduto della vita. Per altro verso: la parola poetica è esposta a un "fuori" invisibile, e quel "fuori" mette l'opera alla prova del mondo. Ma come accade?

n. 75, Dire

Al di là della parola riluce il silenzio. 

                                           Rosenzweig

 

1. Ogni parola, se sappiamo ascoltarla, chiama dall'essere silenzioso delle cose. Intorno al mistero del silenzio - e al sussurro che dal silenzio si leva a ogni inizio del tempo - tesse la sua frase e procede verso il dire. 

n. 74, Anacrusi

“Anterem” giugno 2007


L’anacrusi, presso i greci, è senz’altro un semplice preludio, per esempio quello della lira. Ma in alcuni esempi del diciannovesimo secolo si complica…

n. 73, L'esperienza della percezione

«Anterem» dicembre 2006

Gli uomini sono ossessionati dall’opinione che hanno delle cose, più che dalle cose stesse.

Epitteto


Tra le molteplici dimensioni in cui siamo gettati, e a cui non ci possiamo sottrarre, c’è quella dell’essere destinati a fare esperienza.

Ciascuno di noi è gettato nel tempo ed è condannato a crescere. Il che vuol dire riconoscere che siamo solo un punto tra i tanti, una particella impersonale in un universo sterminato.

n. 72, Hairesis

«Anterem» giugno 2006

E sotto il cielo fugace del purgatorio
Noi dimentichiamo spesso che –
La custodia celeste e gioiosa
È la casa terrena che si distende.
Mandel’stam

1.

Un’abbagliata elevatezza ci sta alle spalle e lascia il posto al protendersi dell’uomo verso il fondamento del proprio essere finito: l’incompiuto. Questa eresia – propriamente hairesis, scelta – si è insediata nella parola poetica.

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