Rosa Pierno: da 'Istoriato'

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Copertina del libro 'Istoriato' di Rosa Pierno

da “Istoriato”

Nel libro miniato, nicchie contenenti oggetti di devozione, fiori e teschi sfondano la pagina, aprono una stanza in una stanza. Tuttavia, da quel vano mai si esce. Vi sono ammucchiati alla rinfusa violini e busti. L’unica che all’appello manca è la storia, la solita imboscata.

Una volta incastonata che fu la favola d’amore nel flusso generale della storia, ne risultò che la prima non si esaurì nella seconda.

Al di qua del piano ideato, c’è quello rappresentato e poi ci siamo noi, gli spettatori, oramai appartenenti a quadri diversi, annoiati.

Nella scenografia allegorica, ai piedi del disordinato letto si trovano una clessidra e un mandolino, un arco senza frecce, una sfera di vetro, una penna e un calamaio. Il quadro è specchio di finita cosa: manca il teschio. Nell’immagine che integra il proprio rovescio si vedono gli amanti che s’infliggono irosamente frecce e teneramente se le strappano.

Sfera frantumata riflette una scrittrice che diventa soggetto, che diventa comparsa, che esce dalla storia e vi rientra, che è sempre fuori cornice e fuori contesto, sempre dentro quel letto desiderato, con lui che è altrove. Sarà poi mai vero che soggetto della narrazione è il sentimento e non l’isteria del vagheggiamento?

Quando il contrario appartiene alla medesima sostanza necessita del divenire. Restare si può solo muovendosi e sempre negando che l'amore provenga da amore e non anche dal suo rovesciamento. Se il disordine trionfa, nell'alveo dell'ordine si adagia, dove ancora sono io che accanto a te mi distendo. Non è un mondo alla rovescia quello in cui ti lascio, mi volto, ti perdo.

Avrei dovuto non voltarmi! Rifiutarti sguardo! Euridice viene meno alla sua parola? Pretende devozione, senza amare colui che fu per lei azzannato dai morsi dell'amore. Davvero sembra un mondo alla rovescia quello in cui il lupo bada al gregge e la lepre il levriero insegue. Non è il regno di un misero scontato carnevale, ma solo la disfatta che per me l'amore aveva in serbo.

Su un grande foglio ho attaccato biglietti colorati, angoli di francobolli, fascette ripiegate e ho ricostruito una carta geografica con le vie dove mi desti appuntamento; i giorni sfortunati li ho segnati con una croce nera e ho cerchiato quelli in cui l'amore è stato consumato.

Il viso tuo da che uno era, mille e mille volti è diventato e io, ogni sera, nel recinto accedo e curo e disbosco e taglio foglie e innesto. Non c’è meno vita che in un vero letto. E so che tu frequenti analogo boschetto.

Estendendo lo studio dell’anomalo caso, con l’inclusione di casi similari, ma non coincidenti, anche a costo di sembrare estensione grossolana, patendo ogni allontanamento dalla meta prefissata, ho qui accumulato un florilegio di icastici dinieghi. Scoprendo, non senza meraviglia, che a distanza avevi fatto raccolta equivalente.