Il pensiero sonoro della parola

PDF versiondi Nicola Sani

Da “Anterem” n. 63, dicembre 2001


Esprimere pensieri e idee in forma di organizzazione di suoni è il mestiere del compositore. La ricerca sui linguaggi dei suoni ha portato nel secolo scorso a far convivere nell’insieme delle arti sonore azione-testo-gesto-scrittura-spazio come elementi di pari rilevanza. Nella composizione non esiste più il predominio esclusivo della risultanza “musicale”, ma ognuno dei suoi elementi costitutivi “può” divenire un centro di attenzione. Così per la scrittura, se la grafia o l’organizzazione grafica degli eventi sono elementi rilevanti della partitura, per la gestualità o per gli elementi visivi in generale, se sono presenti nella rappresentazione scenica sonora, per il testo letterario o per l’uso fonetico della parola, se fanno parte integrante della composizione, per lo spazio in cui l’evento ha luogo o viene diffuso, se esso costituisce un parametro vincolante o determinante per lo scaturire stesso delle azioni sonore e visive. In questo senso il termine “arte sonora” si presta meglio della parola “musica” ad esprimere un insieme di relazioni fra eventi che insieme costituiscono una drammaturgia intermediale. Pertanto, volendo continuare ad utilizzare il termine “musica” per esprimere quella organizzazione multipla di eventi che appartengono alla rappresentazione sonora contemporanea, occorre riferirsi ad un concetto “espanso” di musica, che contempla le possibili strategie che confluiscono in una forma d’arte in cui il rapporto fra gli elementi della composizione diviene ordine sonoro delle cose.

La parola entra in questa organizzazione di percorsi sonori della musicalità espansa, seguendo criteri diversi. Si possono identificare tre tipi di modalità principali, che riguardano il modo di “pensare” la parola e sono l’uso della parola all’interno di un percorso testuale, l’uso della parola svincolata da qualsiasi collegamento testuale, ma con un proprio significato, l’uso della parola come evento sonoro a se stante, priva di significato. Vi sono naturalmente molti casi in cui tutte le tre modalità sono utilizzate all’interno di una composizione, particolarmente nei lavori in cui il materiale timbrico è costituito dalla voce. L’impiego delle tecnologie ha dato all’uso della parola nella musica un ulteriore sviluppo, rendendo possibile al compositore l’intervento su parametri minimi della composizione del fonema. Questo ha permesso di considerare la parola come un universo complesso, all’interno del quale realizzare fenomeni di aggregazione e disaggregazione del materiale sonoro senza perdere di vista il contenuto semantico del messaggio. In questo senso l’idea della parola-mosaico porta all’interno del processo di elaborazione sonoro la relazione fra eventi macro e microstrutturali che appartengono all’ambito della concezione timbrica del suono, e che possono essere così orientati esclusivamente all’emissione vocale (anche se sintetica). È  fondamentale comprendere che nella composizione contemporanea parola e vocalità sono due entità separate. Nel quartetto per archi di Luigi Nono ...Stille-Fragmente...an Diotima le parole di Hölderlin, i suoi frammenti, risuonano nella composizione senza essere associate ad alcun fenomeno vocale. Sono scritte nella partitura, accanto alle note che gli esecutori devono suonare. Eppure la loro presenza all’interno della composizione è imprescindibile.

Il rapporto con l’emissione vocale dunque riguarda la parola solo quando occorre trasferire la funzione del messaggio nella composizione, dalla situazione di scrittura, o di parola allo stato latente, al suo esito sonoro. L’intenzione di pensare la parola può dunque riferirsi non soltanto alla sua rappresentazione sonora, ma anche al fatto di costruire intorno alla parola una rete di relazioni che rendono di fatto l’emissione sonora della parola non necessaria. Avviene frequentemente che in una composizione o opera di teatro musicale il rapporto con un testo si trasformi di fatto nell’utilizzazione di emissioni parziali del testo medesimo da parte del compositore, in pratica nella presenza di “parole” estratte da un insieme testuale più ampio, appositamente scritto o preesistente. Con questo nulla togliendo alla necessità del testo integrale, legato in ogni caso alle ragioni e alle motivazioni della composizione. Se dunque da una parte la parola si è resa autonoma dal suo essere in necessario rapporto con la vocalità, dall’altra l’espressione vocale si è resa autonoma dal testo, pur mantenendo un rapporto di derivazione da esso o di sua rappresentazione parziale. Il pensiero musicale entra dunque in contatto con la parola in maniera sempre più libera e la coinvolge all’interno di processi autonomi o relazionati di confluenza dei materiali sonori e di altri materiali significanti. Nel rap, ad esempio, la parola determina la struttura ritmica della composizione. Spesso sarebbe sufficiente l’alternanza di vocali e consonanti disposte in maniera da definire una struttura di accenti e inflessioni. La parola in questo caso esiste al di fuori di un testo, poiché appartiene all’organico strumentale del rap. Non è la voce, ma la parola ad essere utilizzata, in quanto unità ritmica espressa vocalmente. In questo caso si può parlare della creazione di uno strumento-parola, che diviene entità sonora attorno alla quale definire alternanze e stratificazioni ritmiche e strumentali.

All’interno del percorso di autonomia della parola dalla logica della costruzione vocale e strumentale vi sono alcuni interessanti sviluppi che possono essere considerati punti di riferimento di un lavoro di sperimentazione che continua ancora oggi. È un percorso in cui si intrecciano musica, poesia sonora, arti elettroniche e arte intermediale. Le produzioni di Klaus Schöning per lo Studio Akustische Kunst della Radio di Colonia (WDR), da lui fondato nel 1963, sono uno dei più interessanti esempi in questo senso. Tra gli autori che hanno maggiormente lavorato in questa direzione troviamo John Cage (nelle composizioni legate ai testi di Joyce Muoyce e Roaratorio. An Irish circus on Finnegans Wake), Charles Amirkhanian, Henri Chopin, Alvin Curran (nel ciclo di composizioni intitolato erat verbum), Gerhard Rühm, Franz Mon, Mauricio Kagel (in ...nach einer Lektüre von Orwell e Nah und Fern), Barry Bermange, Malcolm Goldstein, Joan La Barbara, Pauline Oliveros, Philip Corner e George Brecht. Tra i nomi citati vi sono alcuni esponenti del gruppo intermediale Fluxus, che è stato uno dei primi a porre al centro dell’attenzione il rapporto di de-contestualizzazione della parola all’interno del processo di creazione musicale. Tale atteggiamento ha portato allo sviluppo conseguente di una interessante area di sperimentazione sul senso puramente sonoro della parola che ha alcuni esponenti di spicco in compositori-performer come David Moss, Phil Minton, Fatima Miranda, Meredith Monk, Laurie Anderson, Diamanda Galas e il compianto Demetrio Stratos. Il loro modo di pensare la parola è legato alla possibilità della parola di dare luogo a fenomeni di risonanza tali da ricondurre la voce al suo carattere primordiale puramente sonoro attraverso l’effetto di straniamento provocato dalla pronuncia traslata di una determinata parola. Così, ulteriormente, la parola è utilizzata come “ponte” fra suono e materia, fra linguaggio e costruzione sonora, fra strumento e testo. Nella performance del gruppo finlandese Mieskuoro Huutajat (coro di uomini urlanti) la parola diventa paradosso vocale, in una emissione esasperata che mette in evidenza le caratteristiche estreme del messaggio espresso con una continua forza dilaniante. La lacerazione della parola diventa infine violenza della fonetica su se stessa, autodistruzione, follia di cancellazione del senso attraverso la deformazione delle caratteristiche performative. Questo “cannibalismo” vocale può essere visto come senso estremo della trasformazione della parola in atto sonoro, lasciando che divenuta suono essa possa seguire la traiettoria estrema della manifestazione acustica, quindi anche la sua saturazione. Il principio che genera l’errore deve essere previsto all’interno del fenomeno di abbandono del messaggio del testo a cui apparteneva nella forma scritta.

Il processo di invenzione sonora della parola diventa particolarmente interessante nel rapporto tra spazio ed emissione vocale. In una mia recente composizione per voci ed elettronica Voices beyond the edge - dedicata al decimo anniversario della scomparsa di Nono - ho creato una serie di traiettorie sonore organizzate su otto canali e proiettate in uno spazio sferico (il Grande Planetario di Berlino), con ottanta altoparlanti. In questo lavoro, la parola è diventata strumento di attraversamento e conoscenza del rapporto fra suono e ambiente, fra senso e spazio. Nel loro susseguirsi le parole entrano in relazione tra loro nella costruzione acustica tridimensionale della composizione, determinando zone spaziali di comprensibilità e di parziale incomprensibilità del messaggio. In un successivo lavoro, Voci Controvento, per cinque voci, ho cercato di realizzare un fenomeno analogo utilizzando lo spostamento fisico degli esecutori - i Neue Vokalsolisten di Stoccarda -  senza utilizzare le parole. In entrambi i casi il passaggio da costruzione a de-costruzione del fonema era legato al rapporto fra le voci in una dimensione spazio-temporale. Non spazializzazione, quindi, ma composizione nello spazio. La musica “pensa” la parola e assieme ad essa pensa al tempo, allo spazio, alla storia, alla poetica, al senso, al silenzio, agli uomini, quindi al suono.

NICOLA SANI è nato a Ferrara nel 1961. Ha realizzato composizioni strumentali, elettroacustiche, opere di teatro musicale, installazioni intermediali, presentate nei principali festival internazionali. È direttore artistico del progetto "Sonora" per la diffusione della nuova musica italiana all'estero, redattore di “Musica/Realtà”. Collabora a Radio Tre Rai e a “L’Unità”. Discografia e videografia ampie.

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