Sebastiano Aglieco, poesia inedita “La resa delle foglie”, con una nota di Marco Furia

La lingua delle foglie

Con "La resa delle foglie", Sebastiano Aglieco presenta una composizione in cui elementi tratti dall'ambiente naturale si connettono alla sua stessa vita: il verso

"Se potessi fermare il vento con le mie parole"

pare emblematico.

Il poeta ipotizza addirittura di riuscire a trattenere il vento con le sue parole, ossia di poter adoperare con profitto lo strumento linguistico oltre la dimensione umana, in maniera semplice, diretta, non per via di scienza e tecnica.

Questo è il punto.

Perché gli alberi, gli uccelli, le nuvole sono insensibili al nostro idioma? Perché non parlano?

E' banale rispondere che la lingua, tipica dell'uomo, estende le sue facoltà, in maniera ridotta, ad alcuni animali domestici o addomesticati: è banale, senza dubbio, ma proprio su questo il Nostro s'interroga.

Certi mutismi a lui dicono qualcosa.

Dicono, se non altro, delle vicende di un'umanità che accanto al mondo pone modelli, schemi, paradigmi, in maniera incessante, talvolta perfino eccessiva, dicono, insomma, di un ambiente dal quale non siamo separati da rigidi confini:

"Le nuvole calme vedono il mio quaderno".

Le "foglie", così, sono "sorelle" imploranti un perdono dovuto perché l'empatia o, meglio, la compassione coinvolge ogni aspetto dell'esistente accomunando in una visione generale noi stessi e tutto quanto ci circonda.

Con pronunce chiare, articolate in cadenze la cui musicalità pare a tratti celarsi in una sorta d'espressionismo sonoro implicito ma efficace ("rimanere tra una pausa e / il canto della voce oscura!"), non alieno da propensioni descrittive né da improvvisi impulsi visionari trattenuti entro trame poetiche coerenti, Sebastiano Aglieco mostra come un intenso desiderio, pur consapevole dei propri enigmatici aspetti, possa continuare a sussistere in maniera proficua.

L'enigma può essere d'aiuto, davvero.

 

 

La resa delle foglie

 

Ogni tua parola ripetuta

è aperta nella bocca e battezzata

alla luce dei vivi. E’ per sangue

che mi spargo, per lasciarmi

attraversare dalla tua mancanza.

Dammi, ora, ciò che mi spetta

lascerò la casa del padre

con la lama puntata dritta

alla mia destra e verrà la notte

dai fondali, un mantello di rose

che hanno la bocca misteriosa delle favole.

Saremo amati nella chiarezza

avremo una voce per pane

nella campana della sera.

Cala improvvisamente il vento.

Il figlio suona una canzone

che tocca le foglie

il serpente si affaccia dalla sua contaminazione

adesso puoi ridere di me.

Se potessi fermare il vento con le mie parole

guardarti con l’amore e

le braccia che non conoscono

toccare il suono pulito che

dorme nella tua testa

rimanere tra una pausa e

il canto della voce oscura!

Cerco una musica in me

una storia consegnata per anni

a questa pelle sottile

cerco la semplice resa e la bocca

nel punto in cui, improvvisamente

nella misura del pane, siamo felici.

Le nuvole calme vedono il mio quaderno

forse lo sguardo del mondo si consuma

nel fiato delle nostre piccole bocche.

E siete qui, sorelle foglie

case dai tetti affacciati come braccia

implorate il perdono che i fratelli vi devono

aprite questo sguardo ai campi arati, in pendìo

tra le pieghe delle nostre sere!

e tuccàti, sulu tuccàti sti me paroli

e rusicàtili, spalancàtili o nenti.*

*e toccate, semplicemente toccate queste mie parole

e corrodotele, spalancatele al nulla.

 

 

Sebastiano Aglieco è nato a Sortino (SR) il 29/01/1961. Ha pubblicato diversi libri di poesia. Gli ultimi sono: Giornata, La vita felice 2003; Dolore della casa, Il ponte del sale 2006; Nella storia, Aìsara 2009; e il libro di saggi Radici delle isole, La vita felice 2009. Insegna nella scuola elementare.

Il suo blog : Compitu re vivi (miolive.wordpress.com)