Una poetessa dentro la cronaca nera

DELMIRA AGUSTINI   [1886 – 1914]  di Enrico Pietrangeli - 2006

L’Uruguay: l’altra parte del globo, eco risorgimentale di tempi eroici per “due mondi” campioni, ma solo con la Rimet, rispettivamente nel ’30 e nel ’34. Primo novecento: il presidente Ordoñez è in carica e, nell’ultimo lustro (1911-’15), anche il “batllismo” ha contribuito a rendere questa terra in qualche modo illustre. Numerose leggi sociali sono state già promulgate e, a tutti gli effetti, l’Uruguay diviene il paese più progressista d’America. Otto ore lavorative conseguite nel 1915 e previdenza sociale, incluso per indigenti, approvata nel ’19. Governa un partito “Colorado” non privo di riferimenti al socialismo, ma anche liberale, di tendenza laica ed anticlericale, prossimo agli interessi della borghesia urbana. I “Blancos”, nel locale bipartitismo, sono l’opposizione storicamente legata al latifondo e principi conservatori. Partiti minori, come quello Socialista e l’Unione Civica, pur costituendosi da inizio secolo, qui non avranno mai un consistente seguito. Una legislazione della famiglia all’avanguardia, con l’introduzione dello strumento del divorzio fin dal 1907, è una realtà già tangibile in questo paese. Il 5 giugno del 1914 Delmira Agustini ottiene un pronunciamento di sentenza e, da quel momento, Enrique Job Reyes diventerà il suo ex marito. Lo stesso mese, il 29, avviene l’attentato di Serajevo e la conseguente prima guerra mondiale. Una settimana dopo, il 6 luglio, a Montevideo è una sera come le altre che vede Delmira dileguarsi, col favore della penombra, sulla Calle San Josè, dove era tornata a risiedere con i genitori. Un passo sostenuto, a tratti affrettato; va, a testa bassa, decisa, con un’espressione malinconica ed incompresa stampata sul volto, in un rituale che sembrerebbe essere stato già consumato molte altre volte. Traversa tre isolati, poi volta sulla Calle des Andes e s’intrufola in uno stabile, luogo di un probabile appuntamento. Di lì, non ne uscirà più viva. Poco più tardi, una sequenza di spari richiamerà l’altrui attenzione: scatta l’allarme. Giungono sul posto autorità e stampa. E’ nuda, prossima al letto, con le calze ancora scese; capace ancora, per i tempi, di suscitare meraviglia e scandalo. Enrique, trovato in fin di vita insieme a lei, non c’è più, è stato portato d’urgenza all’ospedale, dove morirà un paio d’ore più tardi. Resta Delmira, sul pavimento, freddata con due colpi in testa all’istante: la sua foto subito immortalata dai giornali. “Dramma orribile e strano” è il commento nello sgomento dell’epoca per il fatto e disorientati si resta anche oggigiorno per talune conclusioni improntate dai cronisti: “I due si amavano, erano la coppia ideale”, suona, a dir poco, retorico ai nostri tempi. Inoltre, scartabellando scartoffie, si scopre che il divorzio è stato da lei richiesto poco dopo il matrimonio e con procedura d’urgenza per “agravios graves”. Delmira conosce Enrique a ventidue anni, una relazione che dopo un quinquennio culmina con un matrimonio, separazione e divorzio, pronunciato dopo appena sei mesi. Sua madre, per la cronaca, è contraria alle nozze. La coppia, in ogni caso, continua a vedersi clandestinamente durante tutto il periodo del processo. Stesso grado sociale, ambedue provenienti da famiglie borghesi ed agiate ma, mentre Delmira va sempre più affermandosi come poetessa di gran talento tra gli intellettuali dell’epoca, Enrique è tacciato di essere poco incline al mondo artistico e lei stessa, separandosi, lo definirà un “vulgar”. Ipotizzabile, come del resto hanno concluso in molti, che il movente sia la gelosia. Di certo vivevano grandi difficoltà nel loro rapporto amoroso e, forse, il “vulgar” aveva tanta sensibilità che non riusciva a trovare comprensione nei suoi confronti. In una lettera di Delmira, emergono i ricordi di come lui si oppose a possederla, quando fu lei a proporglielo. Uomo, in ogni caso, di un altro secolo, un sanguigno appassionato in una Montevideo che, nel non lontano 1995, Sandro Veronesi percepiva ancora in una “concezione orgogliosamente antimoderna della dinamica sociale, fatalista, quasi risorgimentale”. Nessuno ha potuto confermare appuntamenti di Delmira con altri uomini oltre a quelli con Enrique, il tutto limitato alla deduzione che, se fosse successo, la stampa lo avrebbe diffuso. Ma avrebbe mai permesso una famiglia importante, come quella di Delmira, una cosa del genere? Lei, non aveva di certo mancanza di pretendenti, aveva una grazia tale da abbagliare gli uomini, oltre indiscusse doti di comunicazione. Di fatto, Manuel Ugarte, scrittore argentino, viaggiatore e a sua volta seduttore, nel 1913 soggiorna a Montevideo e si vede con lei. In agosto partecipa, insieme ad altri intellettuali, alla cerimonia nuziale e come testimone della sposa. Di lui, con il quale mantiene fitta corrispondenza, Delmira confiderà più tardi a Dario, padre del modernismo ed amico di entrambi, che è stato il tormento della sua prima notte di nozze. Molte delle lettere inviate da Delmira ad Ugarte sono andate perse privandoci per sempre d’importanti documenti. Taluni affermano distrutte dalla moglie di Manuel. Alberto Zum Felde non ha dubbi e la dichiara casta per tutta la vita precisando che “mai nessun altro uomo, oltre suo marito, ha avuto tratti carnali con lei”. Carlos Vaz Ferriera si limita a commentare: “com’è arrivata a sapere come a sentire quanto ha messo in certe pagine è qualcosa di completamente inesplicabile”. Resta l’ipotesi di una probabile relazione frustrata e tracce di reticenza da parte di Ugarte, uno spirito avventuriero che sembrerebbe non volersi troppo compromettere. A proposito di gelosia, tarli, fantasmi o presunti tali, nel 1882, in uno dei suoi più bei racconti intitolato “Le fou”, Maupassant scriveva: “Ero geloso, ora, del cavallo muscoloso e veloce, geloso del vento che le accarezzava il viso quando andava di corsa pazza; geloso delle foglie che baciavano, passando, i suoi orecchi; delle gocce di sole che le cadevano sulla fronte attraverso i rami; geloso della sella che la portava e che stringeva con le cosce”. Ma torniamo ancora più indietro, Delmira lascia un altro uomo, Amancio Sollers, per iniziare il suo fidanzamento con Enrique che, da quanto si evince dalle sue lettere a Dario, sembrerebbe non coinvolgerla troppo. Poi, durante il divorzio, nella corrispondenza come nelle poesie, trapela un forte trasporto, si notano timori e coinvolgimenti, tutti incentrati sulla sua vita privata. L’amore, attraverso una passione ardente e controversa per Enrique, sembrerebbe venir fuori alla fine, trasformando suo marito in un amante attraverso incontri clandestini. Maupassant, il suo risvolto novellistico, lo descrive così: “gli avvicinai la canna della pistola all’orecchio… e lo uccisi… come un uomo. Ma caddi io stesso, con il viso sferzato da due colpi di scudiscio; e poiché ella si avventava di nuovo contro di me, la colpii nel ventre con l’altra pallottola che restava. Ditemi, sono pazzo?”. E’ la morte che giunge restando sospesa tra la crudezza degli eventi ed un mondo visionario, sensuale e lirico. Una morte a lungo sedimentata nella ragione, come nella brama, di una coraggiosa ricerca dell’amore, quello più completo, tanto viscerale quanto etereo, comunque perfetto.   
 
 
 

DELMIRA AGUSTINI   [1886 – 1914]  di Enrico Pietrangeli - 2006

Un’esistenza dissociata nella poesia   [2° parte] 

L’Uruguay, molto prima del resto del mondo, accetta il divorzio, il rispetto per la dignità della donna (nel ’38, mentre noi vinciamo il secondo “mondiale”, qui le donne vanno a votare) ed una più ampia tolleranza verso il prossimo ma resta, tuttora, un paese relativamente piccolo e con qualcosa di conservatore. La famiglia di Delmira, al di là del fatto di essere altolocata e di principi moderati nella Montevideo dell’epoca, adora “la nena”, appellativo preservato da Delmira anche crescendo, e non c’è cosa che le impedisca di fare. Ma “la nena” si direbbe anche ubbidiente: è la bambina di casa in una famiglia funzionale e stabile. Il padre si occupa, prevalentemente, di mantenere una posizione benestante, mentre la madre s’inorgoglisce in un’idolatria verso la figlia, in un rapporto che, inevitabilmente, crea dipendenza tra le due. Personalità protettrice e dominante è la figura materna mentre, puritanesimo e rettitudine, caratterizzano il padre. Rinchiusa nella comoda vita famigliare, rispettata nei suoi isolamenti di poeta, l’educazione avviene all’interno del nucleo famigliare. È la madre che provvede all’educazione basica della figlia. Il padre la istruisce in musica e pittura. Vive così lontano da una vita di relazioni sociali, senza andare a scuola e giocare con altri bambini. Inizia a prendere lezioni esterne soltanto con l’adolescenza, specializzandosi in francese, musica e pittura. Affettuosa ed incline alla malinconia, è una bambina bella, bionda e con due occhi chiari, intensi ed espressivi che, stando alle testimonianze di taluni, assumono colorazioni dal celeste al verde secondo la luce. Scriveva fin da allora, sotto la rigida vigilanza della madre che, oltre ad essere autoritaria, aveva risvolti morbosi di gelosia nei confronti della figlia. Sembra che sia il padre a ricopiare, con pazienza, i disordinati quaderni de “la nena”. Nel tempo si ritroverà a trascrivere i versi sempre più erotici che Delmira man mano compone. Ma “la nena” cresce e, oltre ad essere intelligente e colta, assume anche un aspetto sempre più attraente, marcatamente sensuale. Ha un corpo appariscente e, soprattutto, uno sguardo carico di erotismo, tanto da risultare imbarazzante e mettere in soggezione persino i genitori che non potevano, di certo, ignorarlo. Alejandro Caceres insinua un progetto famigliare corredato di particolari consegne per prendersi cura della figlia prodigio e che includeva, tra le altre, pratiche anticoncezionali. Silvia Molloy commenta l’infantilismo deliberato che l’autrice utilizza come maschera di convenienza e protezione. Martin Lopez, il suo insegnante di musica, ci conferma che era sottomessa a sua madre da sembrarne incatenata. Alberto Zum Felde afferma che, in presenza della madre, si mostrava ricattata ed esemplare cambiando completamente attitudini quando se ne andava. Non si può dire, quindi, che viva in un’urna di cristallo, ci risulta che ha rapporti con sue coetanee, mantiene un’amicizia personale con la scrittrice Maria Eugenia Vaz Ferriera e corrispondenza con diversi altri letterati contemporanei tra cui Ruben Dario, che poi conoscerà personalmente. “La nena”, che non verrà mai meno, risponde agli schemi della società del momento ed è una forma che Delmira preserva nella vita privata, mentre, dall’altra, la scrittrice si cimenta piuttosto esplicitamente in tematiche sessuali. Si comporta molto diversamente da quanto espone nei suoi versi, perlomeno così lascia intendere. La critica del tempo, non a caso, ha in qualche modo velato questa sessualità che si pretende inesistente per le donne dell’epoca. Nel tempo, molti studiosi asseriscono che Delmira aveva una doppia personalità, alcuni addirittura multiple. Ofelia Machado, in uno studio pubblicato nel 1944, realizza ricerche e raccoglie testimonianze tra le persone che hanno avuto contati con lei. Tutto sembrerebbe coincidere in un modello esemplare dalla condotta impeccabile: amabile, rispettosa, attenta e cordiale, simpatica e brillante ma senza essere provocatoria. Stando a quanto fin ora riportato, viene naturale, al giorno d’oggi, interpretare il suo erotismo come un desiderio frustrato, frutto di passioni amorose inappagate. Raramente, nelle sue poesie, possiamo identificare un uomo, un volto, un’identità definita; qualcuno ha cercato di spiegarlo in un amante ideale ed astratto. E’ la poesia, in ogni caso, a dominarla: una forma mistica del desiderio esposta con destrezza allegorica, qualcosa che una donna doveva, per forza di cose, imparare in quei tempi. Convive in lei un erotismo poetico che non corrisponde all’immagine della bambina cresciuta, quella inibita dalla forte pressione famigliare, soprattutto da quella che la vede assoggettata alla figura materna. “La nena” si direbbe anche donna ed impiega immagini audaci e davvero poco convenzionali per lasciarcelo intendere, immagini che manifestano i suoi impulsi amorosi, in forma attiva, identificandosi perciò all’uomo. Ma “La nena” non interagisce soltanto con i genitori, poiché è in questa veste che è solita relazionarsi anche con Enrique, suo marito. Lui vive la Delmira che gli scrive lettere utilizzando espressioni puerili, ma ignorando, probabilmente, l’altro aspetto della sua personalità, quello che sopravvive, tormentato ed intellettuale. E’ quello della donna che scrive poesie e si confronta con diversi artisti e critici dell’epoca (Ruben Dario è il prediletto, in quanto da lei considerato suo maestro); dove la forma con cui si esprime scorre in uno stile più attento e profondo rispetto l’altro, vezzoso ed infantile. “La nena”, sottomessa ed affabile, e la donna, ardimentosa e libera. La sua è una vita scissa, una dicotomia tra una condotta irreprensibile e l’altro aspetto, quello innovativo ed inquietante, fatto di celebrazione erotica nella poesia; un dualismo che si riscontra nell’intimo, in pulsioni condivise e osteggiate tra corpo ed anima e nelle quali si ritrova impigliata senza trovare un equilibrio. La sua è un’esistenza dissociata nella poesia, una poesia pregna d’immagini che riflettono contraddizioni: domina una costante lotta interiore, si vive in una ragione opposta al sentimento, in un piacere tanto estatico quanto carnale ma mai disgiunto dal dolore. “Riposa del suo fuoco, si purifica della sua fiamma” sono le parole con cui la salutò Alfonsina Storni, allora ventiduenne, in occasione della sua morte. “Preferirei quasi che non scrivesse” è un significativo commento, o strano presagio che si voglia, attribuito alla madre.  
 
 

DELMIRA AGUSTINI   [1886 – 1914]  di Enrico Pietrangeli - 2006

Un caso nella poesia ispanoamericana  [3° parte]   

L’Uruguay, attraverso la figura di Delmira Agustini, apporta nuova linfa al contesto letterario ispanoamericano, è il paese dove si ravvisano i primi palesi tratti erotici nella poesia femminile. E’ qui che si rende possibile quel substrato culturale, contraddittorio ma permeabile, affinché un personaggio come lei prenda consistenza. Icona di progresso, emancipazione ed indipendenza, nondimeno femminile, fragile e sensibile; è considerata una delle più straordinarie voci tra le donne e non solo della modernità latinoamericana. Per la cronaca, da noi le donne nel ’46 andranno a votare, mentre per i “mondiali” gli uruguaiani dovranno attendere quelli del ’50 (strano intreccio compartito tra “due mondi” quello delle prime quattro edizioni della coppa Rimet). E’ Ruben Dario in persona a dare solennità al caso Agustini e, nel ’12, durante il suo soggiorno a Montevideo, commenta a tal proposito: “Tra quante donne oggi scrivono in versi, nessuna mi ha impressionato nello spirito come Delmira Agustini, per la sua anima senza veli ed il suo cuore in fiore. E’ la prima volta che compare in lingua spagnola un’anima femminile nell’orgoglio della verità della sua innocenza e del suo amore, per non essere Santa Teresa, nella sua esaltazione divina”. Con “Los calices vacios”, ultimo libro pubblicato in vita da Delmira, lo stesso Dario curerà l’introduzione ribadendo l’aspetto mistico del suo erotismo e sottolineandone lo spessore quale raro esempio d’intuizione e genialità. Sono versi “ sinceri e poco meditati” è la definizione che ne dà la stessa Delmira in una nota alla prima edizione del ’13. Arturo Sergio Visca, a proposito della sua scrittura, ci dice: “la sua non era una poesia mistica, bensì di sesso puro". Alberto Zum Felze, che realizza uno studio critico per l’edizione completa delle sue poesie, nega sensualità alla poetica dell’autrice definendola intollerabile i tempi. Sostiene che, chi vede in Delmira soltanto una poesia erotica, è preda di un grosso errore; nei suoi versi c’è un profondo erotismo, ma che trascende la carne come pure la comprende. Al di là delle interpretazioni, c’è una mistica del sesso che riporta alla memoria Anaïs Nin: tutta la volontà di affrontare e determinare il proprio destino di donna e artista dando coraggiosamente forma all’irrazionale, liberandosi da falsità e convenzioni. Ma qui siamo già nel pieno del ventesimo secolo e, attraverso il femminismo, cadono, palesemente, veli ed allegorie. L’autrice, pur essendo saldamente ancorata a valori e riferimenti del modernismo, risente di certi modelli europei formativi, soprattutto francesi, e di un linguaggio “intossicato” dal romanticismo, dove l’erotismo libera spirito e corpo superando i limiti della ricerca vincolata al solo divino, al puro ideale. Il fenomeno modernista, perseguendo un desiderio di conoscenza della realtà attraverso la rivelazione delle forme ed interpretandone allo stesso tempo il mistero, è un percorso che agevola e sviluppa fortemente la trascendenza nel dialogo tra carnalità e spiritualità intrapresa dall’Agustini. El libro blanco (Frágil) e Cantos de la mañana, rispettivamente del 1907 e del ’10, sono gli altri due precedenti libri pubblicati da lei in vita. Molte delle poesie contenute in queste raccolte sono già uscite su riviste ed alcune sono state già tradotte anche in francese. Ma è nel 1902 che Delmira inizia la sua attività artistica attraverso la rivista “La alborada”, dove tiene una rubrica scrivendo sotto pseudonimo di Joujou. Ha solo sedici anni, ma inizia toccando subito temi sociali, come quella del distacco delle donne dal mondo culturale (altro argomento tanto caro ad Anaïs Nin in tempi più recenti). La sua è, indubbiamente, una famiglia borghese colta, in grado di darle supporto e strumenti fin dalla più tenera età, e che, come per gran parte della popolazione dell’area, è di origini miste con ascendenze italiane. Nello specifico, ci sono tracce di un nonno francese, l’altro tedesco, mentre le due nonne sono già considerate come uruguaiane e la madre ha sangue argentino. Era solita comporre di notte, al lume di una candela o nel parco, dove si recava a passeggio oppure mentre suonava il piano, testimonianza, quest’ultima, resa a Machado dal fratello, unico e di cinque anni più grande di lei. Dieci anni dopo la sua morte, nel 1924, Maximino Garcia, amico di famiglia, pubblica due volumi inediti: “El rosario de Eros” e “Los Astros del Abismo”.Nell’edizione de “El rosario de Eros” l’editore include un racconto sulla vita di Delmira intitolato “Rumbo”, dove si limita certa propensione all’esagerazione sentimentale e che, apparentemente, si direbbe redatto dalla famiglia. Sia come donna che come poeta, tutto converge in un'unica ricerca, affrontata oltre ogni limite e ragionevole rischio, tanto da trovare una tragica morte ad attenderla nel suo cammino, e questo “tutto”, per lei, altro non era che l’amore. Aveva nella sua anima un’ansia della conquista dell’inconquistabile, il desiderio di un amore perfetto, abbagliante. “Tu che puoi tutto di me / In me devi essere Dio!” sono versi di una donna che potrebbe rivolgersi a Dio come se fosse un uomo e ad un uomo come se fosse Dio. Sono tematiche che non la vedono per niente così lontana, se non geograficamente, dalla mistica di Rumi, il quale osa rappresentare Dio come “Sposa” mettendoci però anche in guardia dalla misteriosa, totale ed assoluta forza che l’amore è capace di sprigionare. Delmira celebra il mistero dell’erotismo, traversa le paludi di un antico binomio: amore e morte. Vive con dolore il desiderio amoroso, una frustrazione che l’accomuna con l’antico modello di Saffo. Lambisce, più che conseguire, un livello mistico per un’innocente predisposizione del suo cuore ma, tuttavia, n’è a sua volta vittima in una follia intima ed implosiva, in tutto il masochismo che asseconda nel tentativo assoluto di conseguire amore. Eros, non a caso, viene da lei definito “padre cieco” e finisce col manifestarsi come una drammatica rivelazione. In “Otra estirpe” ci sono immagini forti, che scorrono attraverso la fisicità ed i relativi simboli, con piene allusioni ad un corpo ardente di passione, trasgressione e voluttuosità espressa nel linguaggio degli uomini, una linea che vedrà poi scrittrici come Juana de Ibarbourou (oltremodo Delmira è considerata anticipatrice delle tematiche del postmodernismo) ma anche Sylvia Plath e la stessa Sexton… Passione che, nondimeno, è espressa con un ideale d’innocenza, come nel caso di “En silencio”, aspersa tra i sogni, per infonderci della sacra ebbrezza (“La miel”) ma che è anche regale e oscura, progenie di una specie che si nutre di pianto (“El vampiro”). Valutare i confini tra la sua esperienza carnale e l’erotismo fantasticato, è argomento lontano dal nostro attuale mondo e modo di pensare, quindi da percepire in quel contesto, nell’alone di leggenda che quei tempi hanno reso comunque possibile. Resta, dopotutto, quel che doveva restare: i suoi versi, mai logori al di là del tempo, sempre sublimi e disarmanti, qualcosa di misterioso e che non si potrà mai fino in fondo spiegare. Resta una spontanea grazia devoluta in tutta la sua ossessione erotica, la memoria di una donna molto audace, un’anima tempestosa e spettacolare, capace di portare alla luce il più remoto intimo rendendone partecipe il lettore.