Giovanni Raboni, frammento di recensione

(dal “Corriere della Sera” del 13 ottobre ’96)

"Siamo agli antipodi della  traduzione-spiegazione, della traduzione-parafrasi, che scioglie i  nodi, i grumi, le oscurità delle figure e delle immagini come se le  metafore fossero altrettante metastasi e il compito principale di chi  traduce fosse quello sostanzialmente sanitario di guarire il testo  poetico della sua poeticità per fornire al lettore, non importa se in  prosa o in similversi, una sorta di replicante quanto più possibile  sterilizzato, inodoro e insaporo. / Poeta prima che italianista o, per  essere più precisi, italianista anche e soprattutto in quanto poeta,  sebbene le sue credenziali linguistiche e filologiche siano con ogni  evidenza impeccabili, Vegliante sa che una poesia o non si traduce  affatto o si traduce con un'altra poesia, che non esistono soluzioni  intermedie; e la sua scommessa - la via stretta nella quale ha visto,  giustamente, l'unica via percorribile - sta nell'aver affrontato il  poema per quello che a dispetto dei crociani di ieri e di sempre,  intenti a disarticolarlo in polpa lirica e ossame o cartilagine  intellettuale, esso in effetti è : un immenso - eternamente  irriducibile e, proprio per questo, eternamente fruibile - "individuo"  poetico. (...) a sorreggere, a ispirare il poeta-traduttore è stata,  in ogni scelta di metodo e in ogni scelta concreta, la musa della  densità..."

Cfr. anche saggio di  Vegliante "Ridire la 'Commedia' in francese oggi", /DANTE/ n° 2, 2005,  pp. 59-79.