Giacomo Rossi Precerutti: Salvezza

Nota critica di Marco Furia
Biobibliografia di Marco Furia

 

In un suggestivo scenario poetico in cui le parole si susseguono fitte, collegate da nessi allusivi, si svolge, intensa, la scrittura di Giacomo Rossi Precerutti. Attento a similitudini implicite nella lingua, sapiente nell’uso del materiale idiomatico, il poeta accosta e connette elementi, anche non affini, con spiccata propensione a una particolare musicalità interna, quasi trattenuta, tale da conferire alla composizione inconfondibili caratteri. Sulla “soglia/ che può far pietra il pensiero” il Nostro deve aver senza dubbio sostato e, con estrema franchezza, meditato fino a trovare, in un non comune slancio evocativo, scampo a quel letale pericolo di annichilimento. Fu, davvero, specifico consapevole canto.

 

Salvezza

Guidami come nido che ascende vasto
verso i frantumi innocenti di memorie,
sulle falde che l’anno benevolo lascia
dentro il fondale alto del cuore, altre
urne si aprono su terre già disfatte
dal boato delle fiamme mentre il gesto
vago di una mano feroce elude nudo
la volta del viso quando adombra
il supplizio che si regala il pensiero
negli indugi stremati dalla presenza
di una bruna chioma che nell’assenza
senza remore si spande e d’oblio vive.

E’ vicino l’istante in cui solo ombra
sarà la mia orma ad aprire la porta
breve di speranze che furtive fuggono
dai covi immoti, persi di folle salvezza
la bocca e gli occhi sconvolti da un grido
che dona a chi del giorno è nemico
un passo caldo d’esilio che affiora
nell’abbaglio duro della gloria e ride
della scialba dolcezza di un cuore
affamato di spoglie prose che congeda
lo splendore oscuro del trono del tempo
e la paura baratta con una quieta sedia.

Solo nube che smuove l’assurdo sonno
di un labirinto chiuso nella mia roccia,
così hai risposto nell’immobilità amara
del tuo volto alla sponda arida
offerta dal nascere di versi fecondi.
Non ha la pietra scelto la mutezza,
non alla fiducia di una morte bagnata
d’insonnia s’arrende, ansiosa di gloria
solitaria rubata dal silenzio soltanto
al tuo passo violento e puro s’allarma,
non un’onda che esulta allo squillo
del rosso può ammirare l’alba dell’oro.

Nella luce attonita, sigillo indolente
di steli levàti a donare la tua ferita
al maestoso protrarsi del gesto radioso,
è l’incauto vederti mentre lambisci
il tuo riflesso che rinnova il brivido
inquieto, ogni stupore si adagia privo
d’ardore nella torre del sonno, puniscano
i silenzi in cui scompari nell’estrema
nudità della mente le mie vuote promesse
di dedizione affollata e nera alla soglia
che può far pietra il pensiero e trafiggere
il tuo spettro tra le tenebre calde.

 

Giacomo Rossi Precerutti (1988) vive a Torino. Nell’ottobre 2006 ha pubblicato la sua prima raccolta poetica, Fuoco d’assenza (Crocetti).