Ironiche felci

Già dall’ inizio di “La materia del mondo”, Domenico Cara, con  “il mio idioma s’ accosta ai senza/ idioma”, rende espliciti intenti espressivi rivolti verso un quid confinato ai margini del reticolato logico, se non proprio caduto nell’ oblio: spetta al poeta “avvicinarsi alla primavera” (non, soltanto, al segno che la contraddistingue) e renderne testimonianza.

Attento ai “possessi minimi”, il Nostro percorre, assiduo, non usuali tragitti lungo i quali suggestivi incontri, accostati a repentine immagini di notevole impatto linguistico, nonché offerti, talvolta, secondo timbri lirici dalla rigorosa misura, prendono luce da contesti ampi quanto concentrati, tenuti assieme da non labili scelte poetiche.

Il tutto per confluire, da ultimo, in aforistici versi dalla fulminea lucidità, frutto di ulteriori processi di distillazione: penetrante, la parola riesce, così, a cogliere, con peculiare naturalezza, perfino l’ “ironia delle felci”, concludendo con cenni biologici un itinerario tale da indurre ad illuminanti riflessioni.

Né complessità offuscò sensibile acutezza.

Marco  Furia

(Domenico Cara, “La materia del mondo”, Edizioni del quarto oceano, Milano,2006)