Maria Angela Bedini, una poesia inedita, “Come la prima volta”, nota di Marco Furia

Espressive articolazioni

“Come la prima volta”, di Maria Angela Bedini, è una sorta di viaggio poetico (non a caso il componimento si apre con la pronuncia “io parto”) attraverso immagini, emozioni, sensazioni, pulsioni, che, per così dire, tendono a mostrare la non discordanza delle loro diverse fisionomie.

Una delicata, assidua energia è presente in versi che si soffermano con elegante intensità su singoli tratti e su un tutto scoperto e riscoperto, con equilibrata meraviglia, per via di ritmiche, tenaci, sequenze: l’autrice non si accontenta, vuole procedere e chiede al mondo di permetterle di osservarlo.

Maria Angela, esistendo con tutta sé stessa in una scrittura capace di offrire inedite possibilità di comprensione, invita il lettore ad assumersi la responsabilità di un nuovo vedere.

Sotto questo profilo i versi

“e la pianta dei piedi che trattiene il cammino

e lo inchioda a un passo dal firmamento”

mi paiono particolarmente efficaci.

 

Non mancano pronunce in cui si avverte una sorta d’intimo distacco

“e qui arrivo pellegrina del mio stesso sguardo

straniera nel mio corpo meticcia della mia pelle albina”,

né fanno difetto immagini affascinanti nel loro dinamismo cristallino:

“ombre fuggite dal calice del mondo”.

 

Naturalmente, la poetessa non può fare a meno di soffermarsi sulla materia della propria arte: il linguaggio.

Cito a questo proposito:

“come la prima volta ogni parola era detta”

e

“e una parola spaccava a terra e fa barcollare la casa”.

Ecco, a mio avviso, il testo preso in esame consiste proprio in una parola, “detta” per “la prima volta”, capace, con delicata perseveranza, di spaccare “la terra” e far “barcollare la casa”.

Siamo al cospetto di un originale espressionismo raffinato ma per nulla gracile?

Direi proprio di sì.

 

 

Come la prima volta

 

io parto dalle mie ossa bianche di sasso

da questa soglia tramortita

dove il piede slancia, svetta, chiede il varco pauroso

domanda i sorsi di buio e il calice della definitiva luce

come l’ostia che nella gola apre il medaglione

del mondo e lo inghiotte nel fiele dell’ostinato tramonto

io canto questa nota bassa che mi dà la febbre di vita

questa covata morte come nidi d’aprile che mi fa viva

adesso e lieve e scaltra di dolore e marchiata

nelle mie membra segnata appena di un parto

breve che fa purpureo l’occhio dei fiori

e cede il segreto balsamo del respiro

 

io vado allora per il fango

e canto l’abito inzuppato

la toppa della tunica sul cuore

lo strappo che scoperchia la vita

il brandello docile del viso

e la pianta dei piedi che trattiene il cammino

e lo inchioda a un passo dal firmamento

e marzo battezza i prati con un filo di brina

che somiglia al fiotto di una ferita

 

(…)


Maria Angela Bedini è nata a Buenos Aires, dove ha trascorso l'infanzia. È docente all'Università Politecnica delle Marche. Ha pubblicato le raccolte di poesia Trasgressioni (Premio "Senigallia - Spiaggia di Velluto", 1987), Essenze Assenze (Premio "La Rosa Editrice", 1991), Ma il vuoto fu scarso a sparire (in Nuovi poeti italiani 4, Einaudi 1995), Sempre tornò un inverno (Premio "Alessandro Tanzi", 2003), e, nella "bianca" Einaudi, La lingua di Dio (Premio “Lorenzo Montano”, 2004).