Michele Lamon, una poesia inedita, “Reperto”, nota di Ranieri Teti

Michele Lamon con “Reperto” non ci racconta una storia, ma la nostra storia.

Lo fa per capitoli, che corrispondono al progressivo aumentare di una data popolazione,

che si accresce nel tempo, partendo da uno.

Il tono generale sembra quello di un narrato continuo, detto da una voce recitante che, potenza del brano,

possiamo sentire nel silenzio mentre lo leggiamo a mente, come se fosse il testo a parlarci,

come se questo fosse un implacabile specchio senza brame che ci racconta.

La poesia ha una superficie piana che via via si accresce nella struttura:

dai versi brevi dei primi capitoli, assecondata in tutto da un linguaggio tanto preciso quanto metamorfico,

si trasforma, passando a versi sempre più lunghi, fino a giungere alla prosa poetica finale.

Assistiamo a un crescendo, tanto che sembrano ineluttabili gli accadimenti:

più evolve la storia, e aumentano i capitoli, più si sprofonda.

Da uno a dieci miliardi, l’evoluzione è stata sicuramente lunga, fino ai prodromi di un esito già evidente:

“molti vulcani si erano spenti, molti ghiacci ritirati, il cielo si era abbassato”.

La storia è stata vinta dall’indifferenza che lascia dietro di sé solo macerie, memorie corrotte, volontà murate.

 

Da “Reperto”

 

Capitolo I

Al principio. Fu uno

e poiché altri non vi era

uno era tutto senza

bisogno di affermarlo

bisogno di saperlo. Senza verbo.


 

Capitolo II

Fu due. Così non fu più

tutto, perché era due ossia erano.

Nacquero confronto e distinzione

io sono, tu sei e io non sono tu,

tu sei io ma non sei me.

 

[...]

Capitolo ennesimo

Erano dieci miliardi, ogni io una polvere sotto il numero. Vi era chi si sentiva nel tutto,

chi si sentiva nulla e chi rigettava nel profondo di sé ogni sentire, rigettando poi anche

il profondo di sé. Questi ultimi, le cui bestie non avevano più custodi né gioghi,

possedettero il mondo. Si poté allora sapere quale sarebbe stata la fine della storia.
 

Capitolo ultimo

Al termine della storia vi sono rifiuti, carte intaccate e disperse, memorie corrotte,

volontà murate. Una figura si aggira, raccoglie, cerca il primo disegno. Sfiora braccia,

richiama sguardi, così che si aggiungano ai suoi. Un anomalo muoversi: passo irregolare,

soste insolite, traiettorie oblique. Ogni attività inclassificabile è facilmente classificabile

come disturbo, agevolmente interpretabile come non lecita.

Al termine qualcuno rimane uno, il più piccolo degli errori.
 


Michele Lamon è nato nel 1967 a Milano, vive a Torino. I suoi interessi principali sono la musica, che lo ha portato a svolgere attività radiofonica, a comporre radiodrammi, approntare colonne sonore per spettacoli di danza e teatrali, occuparsi di produzioni artistiche e tecniche di dischi, regie sonore, djing; e la letteratura: pubblicazioni sparse di poesie racconti e recensioni, collaborazioni a sceneggiature video e teatrali, un romanzo inedito finalista al Premio Calvino, una raccolta di poesie menzionata e una segnalata al Premio Lorenzo Montano, collaborazioni con la rivista L'Indice, pubblicazione di un libro di poesie per le edizioni Anterem/Cierre Grafica.