Fabio Scotto, da “La Grecia è morta”, Passigli 2013, nota di Rosa Pierno

Se la figura retorica dell’enumerazione è presente fin dalle prime pagine de La Grecia è morta di Fabio Scotto, sarà proprio scartando da tale elenco che il senso defletterà per immettersi dal mondo reale al mondo interiore: ciò consentirà l’apertura di un passaggio fra una Grecia “vittima dei raggiri delle banche” a una Grecia “che dorme fra gli abissi della Caldera / la Grecia a sera / nell’incanto dei fiori rosa / nella brezza che agita il mare”. E in un istante eccoci precipitati nel mondo mitologico, nel sogno, ma, come in una tessitura che riprenda incessantemente il suo ritmo ossessivo, siamo anche nella Grecia dei Colonnelli e delle torture. La tela di Fabio Scotto è la tela degli inestricabili conflitti, ove a poco servirà il tentativo di separare il bene dal male. Grecia, “parola dell’origine” e “assedio della lingua”, Grecia “che uccido per morire in lei / e che uccidendo salvo”. Seppure, ben si veda come persino il rovesciamento delle figure necessiti della presenza, sull’altro piatto della bilancia, del peso del suo opposto. Solo non lasciandoselo alle spalle è raggiunta la totalità, la contemplazione di tutti gli aspetti, stretti nel florilegio del racconto lirico. Il racconto, dicevamo, poiché è sempre da un luogo, da una situazione concreta che Scotto si diparte con una descrizione piana, delicata, aderente (“La vasca è vuota / Qui dov’era il canale / il freddo scheggia il marmo”) per poi, come un provetto pescatore, venuto il pesce ad abboccare, chiudere con l’immagine che si è addensata sulla superficie della mente, frutto, simile a quelli prodotti dal sonno, oracolare. Poesia, in quanto tensione a visualizzare l’inesistente, a rendere concreto ciò che è solo ideato, ma in ogni caso agganciato allo spazio-tempo esistenziale. E anche quando il flusso percettivo si fa più intenso, come nei rapporti umani, è ancora al dato geografico/naturale che il poeta fa riferimento: “Giungono a spasmi come lava / corrodono i tegumenti del cuore”. La strettissima correlazione istituita per questa via da Fabio Scotto rende la realtà esterna il correlato di quella interna, e nessuno dei due aspetti potrà mai sussistere o essere preso in considerazione da solo. L’io lirico è il termine medio, il legante che salda, ove il dato concreto si fa metafora di quello interno: “in bilico sul baratro di me / reclino”, parendo che solo per questa via il cerchio si chiuda e la Grecia ritorni a essere una.

 

Dalla sezione “Angelus hiroshimae” (Haiku per un film)

 

1.

scendo alla caccia

senza saperti ancora

preda dell’alba

 

2.

ruota a ritroso

nell’agonia dei passi

il tempo esploso

 

3.

cielo ferito

tu non fossi caduto

viso nel fango

 

4.

musica mia

calda notte del cuore

se apri gli occhi

 

5.

già olio l’arma

mangia dalle mie mani

al mio richiamo

 

6.

nel sonno ancora

riprendere la marcia

luna ridesta

 

7.

più nessuno qui

la notte chiama al volo

ogni suo figlio

 

8.

le ali nere

sfidavano le nubi

ardono chiare

 

9.

nudo a terra

ti lecchi le ferite

perduta guerra

 

10.

brucia la storia

fiamme sui volti arsi

quale vittoria

 

Fabio Scotto è nato a La Spezia nel 1959. Tra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo, per la saggistica, La voce spezzata. Il frammento poetico nella modernità francese (Donzelli, 2012), Il senso del suono. Traduzione poetica e ritmo (Donzelli, 2013), le curatele e traduzioni dei volumi Rimbaud. Speranza e lucidità (Donzelli, 2010), del Meridiano L’opera poetica (Mondadori, 2010) di Yves Bonnefoy, l’antologia Nuovi poeti francesi (Einaudi, 2011).
In poesia, il suo libro precedente è Bocca segreta (Passigli, 2008 – Premio Selezione “San Vito al Tagliamento”).