Alessandro Ceni, "Parlare chiuso" (Tutte le poesie), Puntoacapo 2012

Alessandro Ceni “Parlare chiuso.

Tutte le poesie” puntoacapo, 2012

 

 

da “I fiumi”

 

Il traguardo della pioggia 1

 

Il dolore non è passare di qua

per la lunghezza identica

tra gli assalti nelle stanze sopra il terreno

neutro dei soldati tra le mie lingue enormi

il segreto che compare in superficie

e nuota e si fa lungo qualcosa che sarai

nel metallo più semplice,

io non voglio saperlo

il ricordo non ha amato mai ha galleggiato

in voi per me i morti che conversano

e preparano lettere

niente da vendere in voi per me

il sole in collera il mio tu.

 

 

***

 

Me dentro cammina sicuro questa campagna

un paesaggio mano nella mano certo che tutto finirà,

soltanto un istante ritto in piedi poi l’innocenza

della luce depreda luminosità via

reni mandrie febbre

chiunque trova ciò che aveva cercato,

nulla era fuori come tutto fuori di me.

 

 

da “La natura delle cose”

 

Splene

 

Dove le acque dolci e salate s’incontrano

spigolo il piede sul tuo passo e i pesci

emergono all’angolo dell’occhio

con le tibie sommerse del fiume,

l’elenco del mare:

livido un fiume di fatali acque letargiche

richiama i petti sfondati degli uccelli,

descrive un tracciato e cammina

quell’acqua tagliata:

acqua desolata

amata soltanto dal silenzio delle piante,

dai gesti e suoni d’un solitario animale

dove s’incanna

il fiume all’orlo della vasca e

il mare accelera in eterno

gli spiriti mangiati negli stomaci dei pesci.

 

 

La ricerca della narratività nei testi poetici di Alessandro Ceni si compie proprio mentre continuamente se ne interrompe il fluire con associazioni non lineari. Il racconto allora si compie in maniera simbolica, giacché al livello di concatenazione di nomi e verbi e aggettivi la profusione di rimandi ad altro annulla l’accumulo e pertanto quel che resta parrebbe un rimando al simbolico in quanto tentazione, ma anche disillusione costante rispetto al traguardo: “Oggi, / sobborghi di fiato, il tempo dissellante / il pungitopo, demoni domani in chiesa di colui / che accende seni di menta, attribuendosi una / maternità da uomo dagli alberi fino al sole”. Non a caso il vuoto è parola agganciata sia al soggetto (“il mio ovale nel vuoto”), sia alla religione (“in un sudario vuoto”), sinonimo della parola “senza”, la quale si presenta con ancora maggior frequenza, elencando la lista di ciò che manca e rende il mondo letteralmente inabitabile. A disegnare una scenografia simmetrica di attese concorre a tratti il tono supplice, a tratti raggelato, per la disillusione: ”la morte è a destra e dispari: / non vedo cimiteri adatti per noi”. Il cosmo sia interiore sia esteriore, come esploso, frantumato, si rileva non ricomponibile. Persino gli amanti sono caduti nella trappola: “E ci separerà la vita non la morte”. D’altronde, con il procedere della scrittura, anche il dettato si fa più asciutto e poco incline all’aggettivazione. Anzi pare che i sostantivi finiscano col bastare a loro stessi o che si accompagnino in ogni caso ad aggettivi che acquistano la densità di un oggetto: ”Noi eravamo fermi, vi dico, il mare ci portava / come immobili sogni dentro un’immobile mente” fino all’esergo in cui il cosmo pare franare nell’io, spodestandolo persino della propria identità: “così, dinanzi a voi, piante mi nomino al neutro / l’indivisibile, il sempre scisso”. (R. P.)

 

 

Alessandro Ceni è nato a Firenze nel 1957. Tra i suoi libri di poesia ricordiamo: I fiumi, Marcos y Marcos 1985; La natura delle cose, Jaca Book 1991; La ricostruzione della casa, Effigie Edizioni 2012. Oltre che poeta è traduttore e pittore.