Paolo Ruffilli, “Affari di cuore”, Einaudi 2011

Il letto

 

Il letto per l’amore

è un campo di battaglia

del mistero:

vi dura la pace

nella guerra e nel conflitto,

più si è morti

più si vive meglio

da risorti

e, colpendo,

ognuno

vuole essere trafitto.

Il sacro vi si infanga

e si bestemmia,

salvato

nel suo essere violato.

Chi cattura

vuol farsi prigioniero

e la ragione è sempre

di chi ha torto.

Qualsiasi arma

è buona

in questo corpo a corpo.

 

 

 

Di insolita, risolta leggerezza, senz’altro raffinata da una consumata capacità espressiva ed esperienziale, i versi di Ruffilli divengono subito una seconda pelle, in cui ci troviamo perfettamente a nostro agio. Senza tema di rivisitare il tema più affrontato in poesia, usando parole semplici e comuni, il poeta riesce perfettamente e con sapiente naturalezza a trasmetterci la freschezza e l’essenza del fatto amoroso, anche se non dovremmo usare l’astratta parola ‘amore’ che rimanda a ciò che non si percepisce: qui piuttosto con la stessa ossessione con la quale si reitera l’atto dell’unione fisica, si tenta la pagina con l’elenco degli attacchi e delle vinte resistenze, con le penetrazioni e le disfatte, in un elenco, cioè, tutto giocato sul piano dell’esistenza, del contingente, della trasformazione inesausta: nessuna astrazione, dunque, se non per prendersene gioco: “E nell’averti in me / è il ritrovarmi / intero / al centro / senza che / mi costi / nella coincidenza degli opposti”. Si noti anche il ritmo velocissimo, sempre inviato a soluzione, come farebbe un pescatore che al minimo strattone, tiri con colpo da maestro la lenza e la preda in barca. Allora, dicevamo, mai astrazione in questi versi, nemmeno però mai privi di un pensiero a tratti aforistico, di ironia giocosa, e, vorremmo dire a gran voce, felice! Che mette in conto gli smacchi come un non evitabile aspetto dell’amore stesso, d’altronde subito virato da Ruffilli verso l’aspetto complementare e favorevole. Gran maestro di cerimonie, sapiente dosatore di inganni e illusioni, sempre consapevole del gioco contraddittorio, ma non per questo negativo dell’amore, il poeta ci conduce per mano nell’esplorazione di ogni singola percezione, odore, sapore, temperatura corporea, di ogni sorriso o soddisfazione con una lingua docilissima e capace di esprimere sottilissime nuances. Ove l’essere posseduto equivale all’essere perduto e salvato allo stesso tempo, dove il riconoscere che qualcuno ami più dell’altro non è motivo per abbandonare la presa, ma per giocarsi la partita con maggior passione: tant’è che essere in amore equivale tout court ad essere. (r. p.)