Antonio Pietropaoli, “Dissezioni”, Oèdipus 2011

Dissezioni

 

dapprima si verifichi il grado di tolleranza

alla discussione, alla critica, alle intemperanze.

poi si prendano le misure più adeguate,

le posizioni più opportune – mai al centro

della scena, piuttosto ai margini, in angolo

(da dove si domina la scena).

ci si disponga quindi ad osservare

interloquire rimuginare interagire,

come tra perfetti estranei.

infine si proceda al primo affondo

un’incisione netta, qui, dove non circola

più sangue, dove tutto è melma e ristagno

 

(ma con dolcezza, mi raccomando:

era, è stata, fu, carne viva)

 

 

 

Nella scrittura di Antonio Pietropaoli, le parole si susseguono fluenti come cavalloni sulla spiaggia che riescono a sorprendere a ogni rincalzo di rima facendosi di volta in volta più pressanti: “mi disloco e mi slogo, mi sgolo tra me / e me, in silenzio, e così finisce che mi sfogo / e mi raffiguro la mia albicocca diroccata / come un’albicocca da un verme devastata”. L’apparente facilità derivata da una fluidità da filastrocca non per questo ne assume il non-sense. Anzi, potrebbe rivelarsi come aspetto ludico di una dramma d’insufficienza: il soggetto non può opporre che la parola. Senza mai perdere contatto con gli aspetti giocosi con i quali si può rivoltare il punto di vista con cui si guarda alle cose, pure “il dileguar del vero” e” il sogghignar della menzogna” non lasciano spazio a una elaborazione a-problematica della realtà, a una rinuncia. Nonostante il tono a tratti scanzonato, ilare o ironico, resta intatto lo scontro frontale con la realtà, il quale denuncia una incapacità di accettazione da parte dell’autore. Vogliamo dire che il tono – a tratti licenzioso – non copre il rumore sordo della disputa. Le strategie approntate dal poeta – vere e proprie pantomime foniche diremmo – sono tentativi di adattarsi, di trovare un modo di coabitare: se l’uomo abita sempre un mondo, non è detto che questo mondo sia ospitale. Sarà però il risultato più un infilare smacchi e delusioni in una lunga collana che un giostrarsi e un risolvere e nemmeno per il rotto della cuffia. Non è esattamente il recinto di accettiana memoria quello messo insieme da Pietropaoli con le sue strategie, ma una sorta di costante gioco al rialzo e si direbbe che ciò accada quanto più sa di perdere per quel non rifiutare nessuna possibilità esperienziale. In questo senso “Dissezioni” è titolo che indica che né il dolore né le condizioni peggiori portano a una consunzione o una disfatta poiché nell’analisi e nella consapevolezza si produce appropriazione: fare di tutto questo il proprio sé. C’è sempre qualcosa da cui ripartire, di cui scrivere. Fosse pure la propria amara disillusione, ma anche una accordata adesione a quel che è, all’esistenza, sempre accolta con sonora e calorosa partecipazione. (r. p.)