Luigi Fontanella, “Bertgang. Fantasia onirica”, Moretti&Vitali 2012

Solo restai con me stesso

e di lontano mi trafisse un grido

come uno sghignazzo d’un uccello nero

che volava sopra le rovine. Per terra

era rimasto un quadernetto (un pegno, forse?)

dimenticato da Gradiva. Lo sfogliai

trepidante guardando i disegni a matita

della Pompei antica e di colpo pensai

nulla si dimentica

senza una nascosta ragione.

 

 

 

Una passeggiata onirica, poiché apparizioni di dei e di persone vissute in antica età si susseguono sul lastricato pompeiano percorso dall’autore. È da un denso tessuto di studio e vita vissuta che tali fantasmi emergono e le figure leggendarie si intersecano con più le fugaci apparizioni delle persone su cui egli ha posato, in strada, per un lungo istante lo sguardo, che avrebbe voluto fermare e che dunque, ora il poeta crede di riconoscere. Il divario fra ciò che è realmente vissuto e ciò che è immaginato comunque resta: “colsi un fresco ramo d’asfodelo / pensando quanto inutile / fosse tutto il mio sapere / e quanto indifferente il mondo ad esso” misurando così anche la necessità di rifugiarsi in un mondo più accogliente e rispondente del presente alla propria interiorità o almeno in cui s’intreccino senza soluzione di continuità cose lette e cose reali. Il linguaggio si fa levigato, plana, si mostra suadente e lineare, quasi per irretire il lettore e per rendere più concreta la presenza onirica, non è però nemmeno lontano dal volere abbagliare l’autore stesso (ora in terza ora in prima persona). Non è che un rincorrere ciò che non è reale e mai lo è stato, eppure nella rete testuale s’intercetta lo sfarfallio, il bagliore, la serica figura di una giovinetta, il flebile rumore di leggiadri passi che da soli danno senso alla ricerca. E che importa se essa si basa su indizi del tutto illusori e su illazioni. Inutile chiamarli deliri, averne paura, temere di trovarsi dinanzi le proprie visioni in carne e ossa. Passato e presente condividono sempre più il medesimo teatro, acuendo la percezione di una saldatura tra quel che sappiamo e quel che viviamo. A tratti il disconoscimento può essere frutto solo di una voluta dimenticanza: un rimosso “capace di operare e di produrre effetti / sotto influsso di eventi esterni” e non alieno dal tirare in ballo un “erotico sentire”. In ogni caso, capace di riportare alla vita, anche in un momento spento o arido dell’esistenza. Verranno a ricongiungersi donna ideale e donna intravista, ma non crediamo sia così saldato il divario tra mentale ed esperienziale, restando intatta l’insanabile frattura, la consapevolezza della sua irrealizzabilità fisica. (r. p.)