"Il miglior mugnaio" di Marco Furia

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Il miglior mugnaio

Una recensione di Al miglior mugnaio – Adriano Spatola e i poeti di Mulino di Bazzano, di Eugenio Gazzola, non può non tenere ampio conto, oltre che del testo in sé, della figura cui lo stesso è dedicato: un atteggiamento, mi pare, rispettoso delle intenzioni dell’autore, il quale mostra, nel corso della sua attenta ed elegante disamina, vero e proprio affetto nei confronti di ambienti e persone.

Quale immagine scaturisce dalla lettura?

Dico immagine perché un libro, un buon libro, credo, lascia sempre una traccia, una precisa impronta, tale da emergere anche a distanza di anni.

Ebbene, quella di una fucina, con gran andirivieni di personaggi provenienti da ogni parte dell’orbe terracqueo, in cui tutto, anche il minimo particolare a prima vista irrilevante, si svolge attorno a due figure importanti e sempre presenti: Adriano Spatola e Giulia Niccolai.

Attività poetica, artistica, culturale, ma anche manuale, di tipografia, come di preparazione di cibi, risultano elementi indissolubilmente legati: perché il Nostro è davvero poeta “totale”, in senso teorico-critico, certo, ma anche esistenziale, quotidiano.

Tutto, in lui, la sua stessa conformazione fisica da omone a tratti iracondo, eppure bonario e gentile, i suoi gesti, i suoi atteggiamenti, ancora prima delle sue celeberrime teatralizzazioni, tutto è già poetico.

Quella fucina, specie per i più giovani, fu vera e propria scuola.

Non certo un istituto organizzato secondo i canoni di un liceo o di una università, no di sicuro: non si svolgevano regolari lezioni (anzi, le lezioni erano bandite), non venivano rispettati orari e programmi, eppure, quasi senza accorgersene, s’imparava.

Partecipando a comportamenti, prendendo contatto con i più disparati linguaggi, si costruiva, come collegando tra loro minuscoli, tutti indispensabili, pezzi di uno sterminato puzzle, si costruiva, dicevo, la propria personalità poetica.

Per coloro che avevano individuato un itinerario, non mancavano stimoli alla riflessione, occasioni di fecondi, spesso inquieti, dibattiti, possibilità di aperture in ordine a qualsiasi argomento-oggetto potesse costituire costruttiva sfida artistica.

Tutto, in quella fucina, poteva essere fatto.

Si partiva dall’inchiostro per giungere al poema e viceversa, in un ri-percorso continuo, assiduo, tale da permettere d’individuare nuove strade nella presa d’atto, concreta, dell’infinità dei mezzi espressivi.

In quell’àmbito il senso della precedenza, del prima e del dopo, contava (e conta) poco o nulla: tutto era lì, in quel momento, o non era.

La poesia non fa parte della vita, bensì è vera e propria forma di vita e quello storico-metodologico risulta essere soltanto uno dei tanti possibili punti di vista (nemmeno dei più fecondi, a ben vedere).

“Tam Tam”, a causa di difficoltà finanziarie, non è mai uscita regolarmente: trovarsi quel volumetto nella buca delle lettere, perciò, era sempre una sorpresa e già una prima, fugace, scorsa, cui non ci si poteva sottrarre, riempiva di entusiasmo (se poi, quell’oggetto di rara bellezza, da leggere, ma anche da guardare e maneggiare, conteneva, come capitava talvolta, qualche proprio verso, alla gioia si univa la soddisfazione di esserci).

Tenere conto di molteplici aspetti, scorgendovi un’identità-totalità, era il tratto distintivo precipuo con cui si entrava immediatamente in contatto e a cui, in maniera esplicita, nei fatti, veniva chiesta adesione: tutto si può dire e non dire in un mondo nel quale l’unico a parlare è l’uomo e custode dei segreti della lingua è il poeta.

Rigoroso, vigile, mai privo di affettuosa sollecitudine, Eugenio Gazzola guida il lettore nelle non comuni vicende di un’esperienza poetica di altissimo profilo svoltasi, alle falde dell’Appennino emiliano e, contemporaneamente, in tutto il mondo, nel corso degli anni settanta fino ai primi anni ottanta del secolo scorso.

Il testo, ricco di riferimenti a episodi, persone, opere, riesce a fondere il racconto dei fatti con acute, articolate, indagini critiche: né fanno difetto descrizioni, anche minuziose, di eventi, ampie testimonianze, semplici ricordi, aneddoti capaci di illuminare, riuscendo a trasmette l’impressione dei vividi lampi e bagliori propri, assieme ad un’ampia e profonda cultura, di quell’esperienza.

Il “miglior mugnaio”, così, ha trovato il suo biografo migliore.

Marco Furia

Eugenio Gazzolo, Al miglior mugnaio – Adriano Spatola e i poeti di Mulino di

Bazzano, DIABASIS, 2008